di Stefania Capelli

Cerchio. Per incontrare i ragazzi dello SPRAR di Africo abbiamo deciso di metterci in cerchio, di creare uno spazio all’interno del quale conoscerci con leggerezza e senza giudizio. Uno spazio in cui non conta chi sei stato, quanti anni hai in Italia e quanti ne hai in Africa, se sei sposato oppure no, se hai dei figli in qualche parte del mondo oppure vorresti averli.

In questo spazio ci sei tu e ci sono io, ci siamo noi che per una serie di congiunture che qualcuno ha voluto ci siamo incontrati. Siamo presenti e abbiamo un tempo, a tratti breve a tratti lungo, pesante, difficile da abitare. Un tempo scandito dalla musica assordante, quella che aiuta a non pensare, un tempo in cui la musica si fa sottofondo e aiuta a pensare, un tempo in cui ridere rumorosamente, insieme, un tempo in cui stare in silenzio, insieme, un tempo in cui ascoltare delle parole che non capiamo e osservare dei gesti muti.

La bellezza di questo spazio-tempo è che è paragonabile a dei fogli bianchi, decidiamo insieme cosa e se disegnarci sopra, con quali materiali, se poi vogliamo conservarli o stracciare tutto e fare come se non li avessimo mai dipinti. In questo nostro spazio-tempo non servono tante parole, prediligiamo piuttosto dei linguaggi universali che ci permettono di avvicinarci così tanto da sfiorarci con delicatezza senza la pretesa di toccarci. Proprio grazie a questa libertà ognuno porta nel cerchio una sfumatura di sé stesso, quella del qui e ora che profuma di fragilità misto a orgoglio, di precarietà mista a certezze.

Nel cerchio ho portato una matassa di filo rosso di cui non trovavo il capo e la fine, era ingombrante, era disordinata, si aggrovigliava a matasse di altri colori, era lì da qualche tempo e prima o poi avrei dovuto prendermene cura. Giorno dopo giorno, al formarsi del cerchio, prendevo questo groviglio rosso in mano, lasciavo che gli altri lo prendessero in mano, lo lasciavo giacere inerme oppure me lo attorcigliavo attorno, lo osservavo e ad un certo punto ho iniziato a giocarci. Il filo rosso è diventato corda per saltare, spago per appendere dei palloncini, filo per delimitare uno spazio, parole indelebili sul mio diario. Poi, il filo rosso è diventato fune sul quale camminare e guardare da un’altra prospettiva in quale punto il gomitolo fosse diventato matassa informe, l’ho trovato quel punto. Il filo rosso da groviglio si è trasformato in filo conduttore, traccia ritrovata nel passato e che mi ha accompagnato e dato senso al mio andare presente.

E allora ringrazio, ancora una volta, il viaggio con lo zaino in spalla, i piccoli miracoli che succedono quando si sta insieme, le persone incontrate, il loro presente e i loro sogni. Ringrazio le persone che mi ricordano di avere fiducia nell’essere umano, che i cattivi ci sono, ma di sicuro i buoni sono molti di più. Ringrazio le persone che mi ricordano che quello che sto facendo in questo momento è semplicemente un granello di sabbia che posso fare oggi, qui e ora e che domani non lo so, ma proprio per questo è importante farlo oggi e non aspettare domani.

Ringrazio questo piccolo angolo di mondo un po’ disordinato, un po’abbandonato, un po’grigio e un po’colorato, un po’centro e un po’periferia, un po’punto di arrivo e un po’punto di partenza, un po’casa e un po’ghetto. Questo luogo dai confini poco visibili ma ben delineati che se prima della partenza ho dovuto controllare sulla cartina dove fosse, ora invece, è diventato volti, nomi e storie.

Ringrazio il cerchio che è diventato casa, la nostra casa qui e ora che già oggi non c’è più, ma che c’è stata e rimarrà nel cuore.

 

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