di Gloria Mazzilli
Voglio raccontare del mio viaggio e di quella, che per me, è stata la parola più importante: spontaneità.
Avevo letteralmente paura di partire. Di non poter essere all’altezza. I giorni prima della partenza l’ansia mi stava divorando, poi è successo qualcosa.
È successo qualcosa in quelle dieci ore passate in macchina tra i racconti delle mie compagne di viaggio: Stefania, Chiara e Nicoletta.
Qualcosa è cambiato, e l’ansia si è trasformata in Adrenalina, in voglia di fare, in voglia di dare e ricevere,
Appena arrivate ad Africo, i panni stesi, il pallone abbandonato in mezzo al campo, i sorrisi degli operatori e il caffè, mi hanno fatto sentire subito a casa.
Una casa che da lì a dieci giorni mi avrebbe vista giocare, piangere, ridere, disegnare e ballare, Una casa che, ora che sono dove ho vissuto per ventiquattro anni, continua ad abitarmi.
Una casa popolata da mani piene di terra, di musica reggae e capelli attorcigliati.
Una casa piena di ragazzi colmi di qualità che non vedono l’ora di essere scoperte.
Una casa con sempre lo stesso menù: riso e carne, ma anche con sempre la stessa cura nel prepararlo.
La spontaneità è la chiave per vivere e sentirsi a casa nello S.P.R.A.R di Africo. La spontaneità è il ponte che ci ha collegato a tutti quei ragazzi, alle loro storie e alla loro voglia di riscatto e affetto.
Ciò che mi ha fatto subito capire di essere nel posto giusto nel momento giusto è la voglia di ridere, di non pensare. È proprio questo che vogliono i ragazzi: ridere, stare insieme, sentirsi un punto di riferimento.
Una casa piena di spontaneità e ironia, che ci faceva ridere fino a tardi anche se probabilmente riuscivamo a capire due parole su cinque. Alla fine per ridere bastano due occhi e la risata per dieci giorni è stata contagiosa.
I ragazzi ogni giorno si sono messi in gioco e con la loro spontaneità ci regalavano sorrisi e risate. Più ci facevano ridere e più loro ridevano perché erano contenti.
Ridere, come direbbero loro, è “molo buono”.
Ma casa è anche il luogo dove puoi essere nudo senza paura di essere colpito e, così, quando i ragazzi iniziano a parlarti, senza che tu glielo chieda, della loro storia, dei loro viaggi durati anche cinque anni per arrivare in Italia, delle voragini che questi viaggi hanno aperto dentro di loro, è lì che capisci che anche loro si sentono a casa.
Finalmente, si sentono a casa.
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