di Eleonora Negroni
A distanza di 2 settimane mi trovo a scrivere del tempo trascorso questa estate a Roma, un tempo che razionalmente riesco a quantificare in 15 giorni ma di fatto oggi sembra durato mesi.
Questo tempo ha spalancato, a me e ad altre cinque mie compagne di viaggio, le porte di una grandissima realtà, nata a Roma ormai 50 anni fa ed oggi diffusa in più di 70 paesi in diversi continenti: la Comunità di Sant’Egidio.
Questo tempo ci ha chiesto di entrare in punta di piedi, mettendo da parte la nostra storia e le nostre conoscenze, ci ha chiesto di spogliarci dalle nostre aspettative, dai pregiudizi e dalla presunzione di avere una soluzione per tutto. E così ci siamo affidate, ci siamo lasciate condurre verso chi, spesso non per scelta, quotidianamente vive una vita da esiliato e chi quotidianamente cerca di dare un nuovo significato a questo esilio.
Abbiamo osservato.
Stella, Alexia, Chiara, Giulia che da anni conoscono il campo Rom di Castel Romano e chi lo abita. Decidono di dedicare il loro tempo a chi è consapevole di avere un futuro già scritto, perché chi vive nel campo di Castel Romano prima di tutto è uno “zingaro”, non è una persona, ed è nella sua cultura rubare, puzzare, essere violento e criminale (ed io vi chiedo, quale cultura?). Ed invece Stella, Alexia, Chiara e Giulia, come molti altri volontari, vedono prima di tutto dei bambini che ogni mattina nel mese di Agosto escono dai loro piccoli container nei quali hanno trascorso la notte, per prendere un pullman che dal deserto di asfalto e nulla che li circonda li porta a Santa Cornelia. Per fare cosa? Scuola.
Giorgio, Marco e tutti i volontari che tra il quartiere di Cinecittà e la stazione Tuscolana si ritrovano, preparano da mangiare e lo porgono a chi vive per strada. In questo semplice gesto incontrano vite, senza la pretesa di entrarvici, senza la presunzione di sconvolgerle per “migliorarle” ma con l’intento di essere presenza costante e gradita. E così io e Letizia abbiamo incontrato Alessandro che ci ha parlato di quando a 14 anni ha iniziato a viaggiare, che si è arrabbiato perché non viaggiamo abbastanza e non conosciamo l’Italia, che ci ha accompagnate alla fontana e ci ha riempito la bottiglia di acqua fresca come si fa con un amico, che voleva portarci a cavalcare, che mi ha spezzato il cuore con uno sguardo chiedendomi “Quando tornate?”.
Abbiamo osservato, siamo state nell’incontro e ci siamo reinventate giorno dopo giorno.
Questo tempo ci ha chiesto di mettere da parte fretta, impazienza e nervosismo per lasciare spazio all’arte della pazienza e dell’attesa perché solo così si costruisce, a volte non si sa cosa ma si costruisce. Ed insieme, io, Sara, Valeria, Letizia, Simona e Giulia abbiamo sognato tanti possibili futuri.
Questo tempo ci ha chiesto di credere nei piccoli gesti, come quello di accompagnare Flavia dal parrucchiere, andare a trovare Diego nel ristorante in cui lavora o sedersi vicino ad Andriana per fare i compiti.
Questo tempo mi ha posto delle domande, “noi crediamo nell’impossibile?”, ed ancora mi chiedo, impossibile non è possibile o sta nel possibile?
Questo tempo ci ha chiesto di crede nell’impossibile
Questo tempo ci ha chiesto semplicità
Questo tempo ci ha chiesto di essere gruppo e forza insieme
Questo tempo ci ha chiesto di lasciare ciò che non vogliamo più essere
Questo tempo ci ha chiesto di non fare ma stare
Questo tempo ci ha chiesto e ci ha dato.
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