di Silvia Emanuele

“Gli uomini che imparano la pazienza, sono quelli che chiamano l’intero mondo fratello”

Charles Dickens

Dieci giorni. Dieci lunghissimi, brevissimi giorni e io, ora che sono tornata, conservo nel cuore una sensazione strana.

Prima di partire ho salutato la mia famiglia, quella vera, quella di sangue; ho abbracciato mio fratello, ci siamo raccomandati l’uno con l’altra e, con un pizzico di malinconia, ci siamo detti “buon viaggio”. Qualche giorno fa, andandomene via dalla Mammoletta, mi sono ritrovata a fare esattamente lo stesso: ho abbracciato forte, ho sentito la malinconia pervadermi e, se pur quella in partenza fossi io, ho augurato “buon viaggio”.

Com’è possibile mi chiedo? Paragonare il rapporto di una vita intera a una relazione instaurata in dieci giorni?. Mi sento confusa… ma è una confusione bella: la lascio entrare, lascio che scavi, che si faccia spazio in me e io, che raramente cedo alle emozioni il controllo, mi riscopro paziente, in grado di realizzare piano piano che quella confusione si chiama meraviglia: la meraviglia di essere simili.

I ragazzi della Mammoletta si presentano come una famiglia, una gigantesca famiglia che accoglie, una famiglia che non ha mai e dico mai, paura di allargarsi, anche se questo potrebbe turbare equilibri instaurati con fatica. Siamo tutti fratelli e sorelle, questo è il principio cardine, il bene di uno è il bene di tutti, anche quello dell’ultimo arrivato che ancora oppone resistenza, che ancora non ha realizzato di essere arrivato a casa; come in una vera famiglia, piuttosto, si faranno da parte gli altri, quelli un po’ più forti si addosseranno il lavoro più duro, consapevoli che la cura è un cerchio e che lo sforzo darà certamente i suoi frutti, frutti gustosissimi.

L’incredibile forza della Mammoletta è la forza dell’amore; sembrerà banale e scontato ma, soprattutto di questi tempi, così non è; è la forza del guardare l’altro riconoscendo se’ stessi, non lasciandosi mai ingannare dall’immagine che l’altro vuole dare di sé, dall’immagine che l’altro ha di sé.

La Mammoletta ha gli occhi orgogliosi di una madre, la voce severa di un padre che ti sprona a non arrenderti, la complicità di un fratello che ha vissuto le tue stesse esperienze, l’abbraccio di una sorella che dopo averti visto crescere ti lascia prendere il volo con gli occhi traboccanti di lacrime e il cuore pieno di speranza e certezze.

Io alla Mammoletta ho lasciato i miei fratelli. Li ho lasciati in buone mani: le mani l’uno dell’altra.

In questa folle e frenetica vita ci si dimentica troppo spesso la potenza della fratellanza.

Questa società ci inganna, ci fa credere che, a conti fatti, si possa e si debba fare affidamento solo su sé stessi. Ci restituisce visioni distorte di noi perché ci dissuade dal confronto, quello costruttivo e onesto, quello che riconosce, ammette e accoglie anche le debolezze. Lo fa perché ci vuole forti, forti e autonomi sempre, indipendenti l’uno dall’altra..lontani.

Alla Mammoletta mi sono sentita vicina, in barba al mondo intero: vicina ai miei fratelli, vicina al mio cuore, alle mie emozioni, alle mie debolezze, alle mie fatiche e ai miei successi. Vicina, quasi appiccicata, alla vita, quella autentica.

Grazie vita che ci hai fatto tutti fratelli, grazie Isola d’Elba per avermelo ricordato.

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