di Cecilia Giraudo
5 anni fa lungo il mio cammino, ho incrociato per caso una strada chiamata Educatori senza Frontiere e ho deciso di intraprenderla perché volevo mi portasse lontano. Il più lontano possibile. Ma lontano davvero. E così è stato: primo viaggio ESF, in Africa, Madagascar. Ero davvero senza frontiere! Ero capitata proprio sulla strada giusta e cosi sono rimasta. All’epoca però non è che avessi capito molto di strade, cammini, percorsi, frontiere e scelte. Anzi. È stato fermandomi e non partendo più per un po’ che ho capito.
Ho capito che non tutte le strade sono uguali, che non tutti abbiamo lo stesso passo, che ogni strada incrocia con tante altre e che “non tutte le strade sono un percorso” (per citare il buon caro Fabi ).
Nella vita, sei fai attenzione, ti capiterà di incontrare quelle che mi piace definire delle vie maestre. Le vie maestre sono quelle vie ben costruite dai sognatori che le hanno tanto desiderate e hanno deciso di condividerle, sono solide, fatte dei passi delle persone che le hanno percorse, sono quelle vie che ti danno la possibilità di fermarti e poi di ripartire, anche di deviare se ti serve, perchè sono vie che stanno li ad aspettarti, sono vie che riconosco l’importanza di chi le attraversa. Sono quelle vie in cui puoi correre, cadere, rallentare, rialzarti, fermarti pur non rimanendo mai fermo perché sono piene di vita che scorre.
Se non avessi rallentato, se non avessi osservato, ascoltato, accolto e partecipato alla vita degli altri che passavano e partivano, se non avessi fatto le mie deviazioni per poi tornare mai avrei capito il vero senso dell’essere educatore senza frontiere.
Quest’anno mi è stato chiesto di partire per l’isola d’Elba con 7 educatori. Otto strade diverse si sono incontrate e tutte dirette alla Mammoletta. Nessuna storia uguale all’altra. Comune solo la meta e la scelta di essere educatori. Ma cosa significa fare l’educatore senza frontiere all’isola d’Elba? In Italia? Non penso che la Cecilia di qualche anno fa avrebbe saputo rispondere.
Ad oggi penso che essere educatore senza frontiere SIA un modo di essere. Significa testimoniare un’altra educazione possibile. Un’educazione fatta di persone che pur provenendo da strade diverse si sono incontrate perchè condividono lo stesso desiderio di integrazione, di uguaglianza, di ascolto, lo stesso desiderio di abbattere frontiere e pregiudizi, di superare confini e limiti testimoniando la loro umanità e riconoscendo l’umanità nelle persone che incontrano. Perché le frontiere e i confini non conoscono nazione ma sono negli occhi di guarda all’altro senza comprenderne le infinite sfumature.
Io alla Mammoletta ho incontrato l’umano e sentito la vita che scorre. Perché nella Mammoletta ho riconosciuto una via maestra. Ho visto ragazzi, arrivare per passare dieci giorni decidere di rimanere, ne ho visti altri che avevano già preso la loro scelta riconfermarla, ne ho ascoltati alcuni che hanno fatto delle deviazioni per poi tornare, ed essere accolti di nuovo, ed altri ancora al termine del loro percorso, impauriti ma rafforzati decidere di intraprendere altre strade.
La Mammoletta sta li, solida nelle sue basi, il sogno realizzato di due esseri umani che ci hanno creduto davvero, due persone Marta e Stani che accolgono chiunque decida di passare da li.
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