di Alessio Gaudiello
Nell’accezione comune il muro è una costruzione che separa: il bagno dalla cucina o la camera, la nostra casa da quella del vicino. Il muro è uno strumento come tanti e se usato intelligentemente è in grado di generare benefici. Ci permette di ripararci, di proteggere l’intimità creando spazi per noi o di costruire altro partendo dalla sua stabilità.
I muri possono essere anche immaginari, barriere mentali; sono loro i più pericolosi. Quest’ultimi si ergono sulla paura dell’altro, sull’insicurezza, sull’ignoranza. Figlio del muro, o meglio, mattoncino che lo compone, è il giudizio. Il giudizio è il più grande costruttore di muri che sia mai esistito. Stare dentro delle mura ci da la falsa convinzione di essere al sicuro. Nulla di più sbagliato. Non ci da modo di guardare oltre ed andare in profondità.
Mi piace immaginare La Mammoletta come un detonatore che vive per mandare in frantumi le barriere mentali che intrappolano i ragazzi che fanno il loro ingresso lì. Gli strumenti che essa utilizza sono la condivisione, la partecipazione e il lavoro di gruppo: fisico ma soprattutto introspettivo. Alla Mammoletta non si da molta importanza all’esterno della roccaforte, si guarda a ciò che c’è dentro. Una volta arrivati all’interno si trova un tesoro: un’anima fragile che ha “solo” bisogno di essere amata. Si cerca di salvarla attraverso la relazione, che è l’antidoto contro qualsiasi tipo di muro.
La mancanza di relazioni soddisfacenti è ciò che spinge questi ragazzi e ragazze a pensare di non essere bravi o buoni, è ciò che li fa sentire vuoti; e il vuoto è qualcosa di difficilmente sopportabile, perciò viene riempito. È lì che entra in gioco la dipendenza.
La missione della Mammoletta è lenta è faticosa, è fatta di ascese e ricadute. Buttare giù certi tipi di muri non è affatto facile; hanno messo radici. Ma alla fine il lavoro va a buon fine, le mura spariscono e lasciano posto ad anime belle, fiorenti, piene ed autonome. Pronte a donarsi e ad aiutare chi invece si trova all’inizio del percorso.
Perché la forza della Mammoletta è soprattutto l’aiuto reciproco che si donano i ragazzi nei momenti difficili. Loro possono capirsi a vicenda, sanno cosa vuol dire stare in determinate difficoltà perché ci sono passati e proprio per questo hanno sempre la parola giusta, o il gesto giusto, per ogni situazione. Si può quasi dire che da un certo punto in poi non hanno più bisogno degli educatori: si educano a vicenda, hanno solo bisogno dell’accompagnamento iniziale.
10 giorni alla Mammoletta sono bastati a cambiarmi, a riportarmi ad un’idea di vita quotidiana più umana e sorridente.
Grazie ragazzi e ragazze della Mammoletta, perché nonostante io non possa capirvi fino in fondo mi avete trasmesso un bene che non smetterà mai di riempirmi.
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