di Miriam Magri
La “Mammoletta” è Casa e lo è stata anche per me. Un luogo unico che ti accoglie e ti fa sentire parte di una famiglia. Il posto dove noi educatori proponevamo le diverse attività sia ludiche sia introspettive e riflessive era l’anfiteatro. Questo posto è stato un riferimento per me.
Qui ho proposto un’attività che avevo imparato al Master di Roma in Pedagogia dell’Espressione. Ognuno iniziava l’esercizio facendo il seme che poi lentamente diventava radice e doveva immaginare la fatica della radice ad uscire dalla terra per sostenere il peso dell’albero. Dopo di che ho proposto ad ogni ragazzo di passare facendo la radice sotto i compagni che simulavano la terra, così da rendere ancora più intenso il lavoro legato alla fatica della radice a radicarsi nel terreno. Dopo di che abbiamo ripreso il lavoro singolarmente e da seme a radice, ognuno diventava albero.
Ognuno era un albero unico e con caratteristiche tutte sue. Riporto questa attività , perché inizialmente mi preoccupava il fatto di non sapere cosa poteva scatenare. Invece i riscontri condivisi dei ragazzi, alla fine dell’attività, sono stati molto positivi. Sono stata davvero felice. Inoltre ho visto tutto ciò come una metafora della mia esperienza generale all’Elba. Sono partita come seme…racchiusa nel mio mondo ma pronta ad espandermi come radici attraverso la fatica di comprendere un mondo a me estraneo e difficile per tanti aspetti, ma motivo di vita, perché era terreno fertile di crescita, conoscenza ed espansione. Poi sono diventata tronco un po’ più stabile e ferma nell’equilibrio tra la vicinanza amicale e la professione di aiuto. Fino ad espandermi e allargare i miei rami il più possibile attraverso la comprensione, l’ascolto, l’attenzione e la creatività. Tanto da ricevere energia bella e luminosa per le mie foglie.
Ho donato e ricevuto il doppio se non il triplo. Ho deciso di impiantarmi nel terreno scomodo, poco piacevole, ma fondamentale per migliorarmi ed essere sempre di più un albero verde e grande in tutte le sue dimensioni che lo compongono. La scomodità é qualcosa che cerco per scoprire i diversi lati del mondo e di me stessa. Ho passato 10 giorni intensi, molto belli e ricchi di emozioni.
Una volta tornata mi sono sentita ricca e piena di sfumature tra loro tutte diverse e contrastanti. Mi sono messa in gioco il più possibile. Ogni giorno era diverso dall’altro così intenso che mi sembrava di stare lì da molto più tempo. Ho fatto esperienze nuove come la barca a vela, nuotare nel mare aperto e conoscere la realtà della tossico dipendenza. Mi sono immersa nelle storie di questa Casa e di queste barche condotte dal vento sul mare. Ho scoperto la bellezza della fragilità che si trasforma in profondità.
Ciò che ha reso questa esperienza speciale sono stati i ragazzi con cui l’ho condivisa. Tutti loro erano unici ognuno a modo suo. Mi hanno accolta, fatta ridere, fatta riflettere…mi hanno fatto sorridere e mi hanno portata all’interno di un mondo a me sconosciuto. Mi sono trovata a contatto con una realtà difficile da comprendere. Vedo sofferenza che si trasforma in resilienza, ma ciò non avviene con uno schiocco di dita, ma richiede tanta pazienza, ti chiede di esercitare attesa, sacrificio, impegno e responsabilità.
Dalle nostre attività proposte sono emerse tante cose, ma in particolare è emerso il gruppo. Insieme si può. Il noi e la relazione che diventa una famiglia è ciò che ti permette di non sentirti solo in questa fatica, di condividere i tuoi pesi pezzettino per pezzettino con l’Altro, per essere leggero un po’ di più fino a quando avrai le ali per volare e salutare dalla cime della montagna tutti i tuoi compagni di cammino e dirgli che ci sei anche tu che resterai sempre per loro. Li ringrazierai perché con loro ce l’hai fatta.
Questo è quello che ho sentito vivendo con loro. Questa solidarietà e un’umanità incredibile che reputo preziosissima soprattutto al giorno d’oggi. Umanità silenziosa e forte.
Emozioni di mille colori e suoni armoniosi che restano e resteranno sempre dentro di me.
Annina