di Benedetta Campia
Lui è S.
I suo capelli sono neri e lucidi, così come i suoi occhi.
E’ abbastanza giovane da poter sognare ancora, in una terra in cui persino il sogno è compromesso, e lo fa coraggiosamente e nonostante tutto.
S. può sentire gli aerei passare davanti a casa sua. Li vede decollare, li vede atterrare. Immagina la gente che vola e va a conoscere il mondo. Li guarda, li segue con lo sguardo. Fin da piccolo, ha sempre sognato di essere una di quelle persone in aria. Ma S., anche se li vede proprio lì davanti a casa sua, non può salire su quegli aerei. Lui e tutte le persone che portano la sua bandiera in quell’aeroporto non sono i benvenuti, e anche se i suoi nonni abitavano proprio sulla terra in cui è stato costruito, ora non gli appartiene più e camminarci sopra gli è proibito.
Ma S. continua a guardare in alto e sa che un giorno volerà anche lui e andrà a conoscere altre facce del mondo.
Nel frattempo non si perde d’animo e decide che cercherà un altro modo per volare. Dopo alcuni anni di lavoro, S. si compra una moto e un casco, e inizia a volare per le strade che dal piccolo paese vicino all’aeroporto proibito portano alla grande città. “Finalmente, senti la libertà!” dice, guardando un orizzonte lontano fatto di uliveti e colline, pensando alla sua moto. S. ha trasformato il suo viaggio quotidiano per andare a lavorare in un volo di libertà, e così andare nella grande città diventa un regalo che la vita gli fa tutti i giorni.
S. ripara i computer, gli apparecchi elettronici di tutti i tipi, e finchè le persone useranno i computer e gli apparecchi di tutti i tipi, per S. ci sarà da lavorare, così dice. Lo chiamano da diverse parti della città perchè sanno che è bravo nel suo mestiere, e lui arriva con la sua moto e la cassetta degli attrezzi e smonta e rimonta i pezzi per ridare vita agli oggetti guasti. Non ha fatto una scuola per questo, ha guardato moltissimi video e ha imparato da solo, provando e riprovando “questo è il buono di youtube!” dice.
Ma ogni tanto gli tornano in mente quegli aerei, finchè abiterà nel piccolo paese vicino all’aeroporto proibito li vedrà passare e non riuscirà a toglierseli dalla testa.
S. cerca di risparmiare un pò di soldi, li usa solo per mangiare e per dare carburante alla sua moto. Deve conquistarsi il suo volo grande, e se non potrà partire da lì vicino casa, vorrà dire che andrà in Giordania, e da lì nessuno gli impedirà di salire sull’aereo.
Sogna i paesi d’Europa, sogna l’Italia.
S. ha raggiunto una buona cifra e sente che il momento di partire si avvicina. Ora però, manca il permesso. S. e tutti quelli che portano la sua bandiera per uscire dal paese hanno bisogno di un permesso da parte delle autorità occupanti. Il permesso di uscire, il permesso di andare e di tornare. Il permesso si chiede, e poi si aspetta per un tempo non definito.
S. chiede il permesso e poi si mette ad aspettare. Passa il tempo non definito volando sulla sua moto dal piccolo paese alla grande città, sentendo tutta la libertà che gli è concessa sotto al suo casco, tra una curva e l’altra. Aspetta e spera fortissimo.
Poi, dopo alcuni mesi, la forza del desiderio vince: è arrivato il permesso. Otto giorni di permesso, otto giorni di pura libertà.
Ma l’aeroporto da cui lui può viaggiare è molto lontano, quindi da otto diventeranno solo sei.
Pazienza, sei giorni di pura libertà… sempre meglio di niente.
S. paga il suo permesso e organizza tutti i dettagli del suo grande viaggio. Vuole conoscere quanto più possibile in quel poco di tempo che ha a disposizione, ma prima di tutto… l’Italia. Lui sente che in Italia le persone sono simili a lui, che potranno accoglierlo nel migliore dei modi (credenza molto diffusa tra tutti quelli che portano la sua bandiera).
S. passa il confine con il suo permesso stretto tra le mani e, dopo due giorni di viaggio, arriva all’aeroporto da cui si può partire. Finalmente sarà lui ora a sorvolare la terra dall’alto: il suo turno per il grande volo è arrivato.
S. ritorna dopo sei giorni passati tra Italia, Svizzera, Austria, sei giorni di emozioni indescrivibili, di foto scattate ovunque, di parole scambiate con persone che non avrebbe mai immaginato di incontrare. S. è riuscito a realizzare il suo sogno. Lui col suo zaino, il suo telefono per fare le foto, il suo permesso stretto tra le mani.
Quando ci incontra S. si dimostra di una felicità disarmante: “Italiane!!! Sono stato a Milano. Come amo Milano, l’Italia” ci dice con un sorriso buono e lo sguardo raggiante “sono stati i più bei giorni della mia vita. Ho realizzato il mio sogno. E voi mi ricordate il mio sogno… per questo saremo sicuramente amici”. E così è stato, un pomeriggio di cura e affetto incondizionato per noi, come quello (raro) dei più veri amici. Un’attenzione commovente, che quasi sentivamo di non meritare: S. era fiero e grato alla vita per il solo fatto di esserci accanto.
Qualche giorno dopo eravamo noi a sorvolare il piccolo paese di S., decollando dall’aeroporto a lui proibito e a noi concesso. Sorvolando ho cercato di immaginare la sua casa, lì sotto, tra le colline e gli uliveti.
E ora che ha finito i risparmi e non avrà permessi per un po’, S. continua a volare sulla sua moto e attraverso gli incontri con i viaggiatori che accoglie e di cui si prende cura, a cui potrà mostrare le foto scattate durante il suo grande sogno, per riviverlo ogni volta.
Ramallah, Aprile 2019
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