di Cristina Mazza
Caro Tu,
Che ti prepari a prendere il largo con giovani speranzosi e desiderosi di mettere pietre angolari nella loro esistenza, fatte di incontri, di sguardi, di parole incomprensibili
Caro Tu,
che tremi all’idea di avere questa responsabilità, perché lo sai che non sarà un viaggio qualsiasi, perché sai che per te e per loro sarà importante chiudere il cerchio di questo anno di formazione mettendo in gioco tutto quello che hanno sentito, percepito, ascoltato, pianto e condiviso.
Le mie parole le hai sentite spesso, forse troppo. E allora mi permetto di allargare gli orizzonti e di usare le parole di uno dei miei maestri perché possa accompagnare, contestualizzare e ridarti senso e significato di ciò che andrai ad incontrare.
“Nell’orizzonte di relazioni d’aiuto tra maestri ed educatori, tra volontari e non, si tratta di aprire porte a volte chiuse per mancanza di opportunità e di accendere speranza là dove proprio la storia degli uomini non ha saputo e voluto rappresentare nella commedia umana della storia anche gli aspetti tragici di tanti cammini della speranza esauritisi proprio nella carenza di studio e per attingere quella cultura rigeneratrice di progetti, di approfondimenti metodologici, di messa in gioco di nuove figure formative.
Nella progettazione pedagogica si sono sempre distinte le anime forti degli educatori di fedi, credenze, culture diverse ma sostenute da una intenzionalità fondata su forti principi e su metodologie adattate alle varie situazioni. E la loro memoria rimane viva tra le varie genti anche se i ritmi della storia di tanti popoli sono stati troppo lenti e ingiusti. Fin dai primi viaggi in Madagascar e proprio a Fianarantsoa, gli ESF hanno interagito con realtà missionarie già presenti e sono stati bene accolti dalla popolazione impegnata anch’essa in un fiorire significativo di articolati servizi agli ultimi e nella progettazione di scenari socioculturali nuovi e di presenze professionali significative. Nella pedagogia delle piccole cose quotidiane emerge l’importanza di un fine da attingere e di nuovi ruoli da inventare per rigenerare il ritmo e il fine della vita delle comunità.
La nostra curiosità educativa e la nostra riflessione furono spesso appagate nell’incontro con una varietà di iniziative verso le quali andavamo con la motivazione di apprendere, di rielaborare e di interagire con l’esistente. Abbiamo sempre avuto presente quel detto antico secondo il quale l’aiuto e la solidarietà in campo educativo e formativo prendono forma e aprono orizzonti nuovi solo quando gli ESF e le comunità locali diventano capaci di conciliare stupore, motivazione e cultura professionale per far sì che gli sforzi comuni siano contrassegnati da una sintesi personalizzata e frutto di quella metacomunicazione che si esprime nella professione educativa come prassi e come amore per l’altro nella fatica dell’erranza per un progetto comune. Proprio nei meandri del rapporto educativo si tocca con mano che: solo lo spirito parla allo spirito!
Questa ricerca di risveglio interiore, così ricca e personalizzante, l’abbiamo vissuta nei nostri viaggi e nelle nostre presenze in terra malgascia e quanto abbiamo appreso e quante volte abbiamo ora sognato e ora pensato di dare vita ad una presenza costante in quella Terra rossa e non solo e con quei bambini e ragazzi che ci stavano accanto e che chiedevano, con la loro timidezza e con la loro silenziosa sofferenza, qualcosa di nuovo.
Persone e cose nuove da potere vedere, ascoltare per il bene degli altri e per la rigenerazione di una Terra che non ha mai cessato di lottare per proteggere la natura pacifica del suo popolo e la speranza di giovani e non più giovani in un avvenire un po’ più accelerato nel campo del rispetto della dignità umana e della responsabilità personale e comunitaria intorno al diritto-dovere dell’istruzione e dell’educazione.
Quanto abbiamo appreso dagli stessi malgasci, dai giovani e dagli anziani e quante volte abbiamo scoperto contenuti comuni, progetti con lo stesso respiro spirituale e le stesse aspirazioni per un mondo migliore. Piccole teorie dell’educazione avevano qualcosa in comune con la nostra tradizione pedagogica ed era bello cercare assonanze o profili dalle identità specifiche ma sempre accomunate dall’aspirazione a tracciare strade nuove, a inventare prassi educative sia per la scuola, sia per il tempo libero.
Gli ESF prendevano appunti, annotavano assonanze, originalità e aspetti più o meno collimanti con la nostra tradizione pedagogica.
Rimanevamo stupiti e meravigliati e qualche missionario e missionaria, qualche educatore o educatrice malgascia ci consigliavano di guardare bene la realtà, di non fidarci del primo impatto e ci dicevano nella loro lingua: “Mura, Mura”, “Piano, Piano”.
Noi col passare del tempo demmo vita a tante nostre narrazioni e ricordavamo spesso il titolo di quel libro di E. Porter che si addiceva assai al silenzio, al mutismo elettivo, alla rimozione dei poveri e degli ultimi della terra: Ogni vita merita un romanzo.”
Giuseppe Vico e Cri
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