di Francesca Cervo
È la seconda volta che mi trovo in questo luogo a confine fra ciò che è reale e ciò che troviamo nei sogni.
Per la seconda volta mi ritrovo a far i conti con ciò che i miei occhi fanno fatica a vedere e il mio cuore ad accettare. Mi ritrovo ad avere la testa pesante che si fa carico di tante storie. Mi ritrovo qui per la seconda volta ma è come se fosse la prima. Per una nuova me e per la scoperta dei miei nuovi compagni di viaggio.
Sono di nuovo qui ora, e mi ritrovo a pregare.
Di quelle preghiere che sembrano più confidenze, confronti, un dar spazio peso e luogo ai pensieri, uno sfogo, un urlo soffocato. Una preghiera per l’altro, una preghiera che ancora faccio fatica a riconoscere come mia. Una preghiera per ridare voce ai figli di madri e padri che li hanno messi al mondo e fatti stare in silenzio.
Una preghiera che si affida a chi custodisce le parole. Si fida di ciò che è e che sarà.
E’ stata proprio la fiducia nella nostra forza costante a dare a questo luogo una seconda possibilità. Quello di essere qui per un anno, di dare continuità a ciò che è stato progettato e vederlo costruire.
Sento i rumori del trapano che mi rimbombano nella testa e il rumore del martello che batte, come fosse il mio cuore emozionato per quello a cui sta assistendo. Ad ogni mattone che cade va via qualcosa che si vuole dimenticare e ad ogni mattone che viene messo è un sogno, di quelli preziosi.
La ristrutturazione alla casa dei ragazzi è per noi, ma soprattutto per quelle persone che sono state qui, in questi anni, una conquista, un desiderio sognato e finalmente realizzato.
E’ la seconda possibilità per questi ragazzi di dire “casa” e poterlo dire insieme.
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