di David Perfetti
Si può continuare a viaggiare su dei binari in disuso e abbandonati?
Mi son chiesto questa domanda camminando lungo delle vecchie rotaie, nel villaggio rom di Fier, tra erba alta, incuranza e grida di bambini.
Ho cercato di non darmi subito una risposta ma di lasciarmi condurre da quelle due linee parallele in fuga.
Delle piccole mani mi hanno raggiunto, cercando le mie, e in loro compagnia abbiamo cominciato a camminare. Mi son subito fidato di quella stretta e ho lasciato che mi indicassero la strada da percorrere.
Tra sguardi di scoperta, dispetti giocosi e risate nascoste, arriviamo in un piccolo campo abbandonato. Qui troviamo altri piccoli uomini e donne a cui spesso l’infanzia è stata negata o è stata troppo breve.
Ma ecco che mi ritornano in mente quelle linee in prospettiva…e allora perché non cercare di trasformarle?
Cosi una linea tesa, dritta, si trasforma in una morbida, da far girare in aria, per poi oltrepassarla senza farci toccare. Se da soli l’impresa ci sembra difficile, in coppia oppure in gruppo, il percorso sembra diventare più breve e l’ostacolo quasi inesistente.
Dopo aver girato e volato, toccato terra e girato, la linea si stende sull’erba e diventa un cerchio. Ci troviamo tutti all’interno e dobbiamo cercare di non farci colpire dai lanciatori di pallone, altrimenti anche noi diventiamo cacciatori. Qualsiasi sia il nostro ruolo, ci scopriamo a far parte di un unico insieme, come la linea circolare ci ricorda, a divertirci, a riscoprire che è bello giocare, che siamo, o siamo stati, tutti bambini.
Ora la linea si arrotola su se stessa fino a sparire in uno zaino…che si fa adesso che non abbiamo più una forma de seguire?
Ci prendiamo nuovamente per mano ed iniziamo a camminare, seguendo ancora le linee metalliche, ma c’è anche chi queste le vuole vedere dall’alto; allora ti chiede di salire sulle tue spalle, forse in compagnia di un grande la prospettiva del domani fa meno paura.
Eccoci davanti ad un cancello metallico con delle linee che si trasformano in lettere: JETOJME SE BASHKU. Entriamo e ci ritroviamo intorno a dei piccoli banchi. Per un lunghissimo momento siamo tutti noi, vivendo insieme (come ci dice la scritta all’ingresso), a creare, su dei fogli bianchi, linee dai tratti diversi, unici, ognuno con la sua personalità e il suo spessore, ognuno con i suoi colori e le sue sfumature.
Ancora sporchi di colore, ci salutiamo, lasciamo alle nostre spalle la via ferroviaria, e continuiamo a camminare per le nostre nuove destinazioni e verso i nostri luoghi quotidiani.
Andando verso casa mi torna in mente la domanda e mi viene quasi spontaneo modificare quella linea a forma di punto interrogativo in una freccia; mai fermarsi di andare, anche quando non troviamo i mezzi a disposizione o la nostra via ci sembra abbandonata.
Cerchiamo di trasformare la nostra visione e le nostre linee a disposizione, i nostri passi ci aiuteranno a trovare la forza di proseguire e inaspettatamente arriveranno delle mani a guidarci e ad accompagnarci, anche solo per un breve tratto, mostrandoci, magari, altri modi di andare o per cambiare il nostro futuro.
La linea, altro non è che una serie infinita di punti, quindi di possibilità, che si succedono in modo continuo e perpetuo, e noi, altro non siamo che tanti piccoli punti che vanno a creare la nostra linea, curva, retta, spezzata che sia, disegnando contemporaneamente le prospettive della nostra vita e gli intrecci con le altre linee che incontreremo, continuando così a trasformarci nelle nostre infinite forme.
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