di Silvia Grugnaletti
Esiste un posto nel mondo chiamato Huambo, dove la guerra sembra non essere mai finita, dove la povertà si fa strada tra la spazzatura ammassata e i bambini che chiedono l’elemosina. Esiste una guerra infinita tra gli orfani di idee ed i sognatori, che si ostinano a raccontare sogni a chi non ha mai saputo nemmeno chiudere gli occhi, per immaginare luoghi felici.
Esiste un posto nel mondo chiamato Centro de Acolhimento Criança Feliz, dove ogni giorno suona la campana per ricordarti che devi svegliarti, devi studiare, devi lavorare e devi pregare.
Esiste una stanza sola nel mondo, dove dormono trentaquattro ragazzi che non sanno pensare al domani, che dovrebbero avere una rivoluzione dentro, ma qualcuno l’ha spenta.
Esiste un ragazzo di sedici anni nel mondo, che si chiama L. e che dorme in quella stanza. Lui la rivoluzione se l’è spenta da solo, una sera, uscendo da casa e portando con sé un coltello. E’ andato ad una festa, una qualunque, con i ragazzini della sua età, e non sapeva che sarebbe tornato a casa diverso.
E’ esistita una sera, in cui il destino di due ragazzi e di due famiglie è tragicamente cambiato.
Esiste un tavolo sul quale, ieri sera, quello stesso ragazzo ha poggiato il diario di bordo ed ha iniziato a scrivere: “Non dimenticare che ciò che siamo è il riflesso di ciò che pensiamo. Conosci te stesso per vivere una vita cosciente e felice. La tua luce deve brillare da dentro, verso l’esterno. Cerca di far vedere a tutti la luce interiore che brilla in te, attraverso le tue azioni e le tue parole di comprensione ed ottimismo”.
L. mi sta insegnando che esiste una luce, in ognuno di noi, e se viene vista e accolta anche da una sola persona, ci fa rinascere, ci fa riaccendere quella piccola rivoluzione che abbiamo dentro.
Esiste un albero dipinto sulla parete di una struttura, nato nel luglio del 2015. Quell’albero ha preso vita grazie alle mani di sei volontarie di Educatori Senza Frontiere ed è cresciuto piano piano, dalla fantasia e dalla passione di chi crede che, anche quattro mura, possano essere casa per coloro che hanno sempre e solo abitato il dolore e la solitudine.
Certi giorni, guardandolo, mi chiedo quante cose possa aver visto un albero: immobile spettatore di vite che dovrebbero essere di passaggio tra queste pareti che ancora stentano a farsi chiamare casa. Ho letto, da qualche parte, che “casa” è la pelle di chi, quando ti abbraccia, ti fa sentire al posto giusto. Chissà se i bambini che abitano qui si sentano al posto giusto; ma scommetto che quest’ albero, di abbracci, ne abbia visti ben pochi.
Allora come faranno a sentirsi “al posto giusto”?
Senza paura, io li abbraccio forte, sperando che possano sentirsi al sicuro, come quando respiri piano e senti il profumo di casa.
Esisterà un abbraccio, nel tempo e nello spazio, in grado di farti sentire al posto giusto ovunque?
Esistono luoghi, nel mondo, dove io sono la straniera. Io adesso mi trovo “a casa loro” e potete solo immaginare quanto pesa questa sensazione di essere ospite a casa di qualcun altro, quando cammino per strada e mi vengono attaccate addosso delle etichette che non ho scelto né voluto: io sono bianca, ricca, occidentale, razzista quando dico “no”…
Vorrei che tutti mi vedessero per ciò che sono realmente, come quando cammino “a casa nostra”, andando oltre ogni apparenza e pregiudizio, in qualsiasi angolo della Terra.
Esistiamo io e Lara, due educatrici senza frontiere, che crediamo che l’educazione possa far rumore in questo posto muto e sordo del mondo. Ci guardiamo e ci chiediamo se siamo nel posto giusto, se queste quattro mura, un giorno, saranno degne di chiamarsi casa per qualcuno, se tutti questi pensieri riusciremo mai a prenderli tra le mani, continuando ad averne cura e abbracciandoli, per farli sentire al sicuro.
Esistono dei giovani nel mondo, figli di niente e di nessuno, che io ho conosciuto in questi ultimi tre anni, che imparo ad amare ogni giorno e che sono stanca di vederli esistere, perché vorrei che iniziassero a vivere. Vorrei che tutti riaccendessero in loro quella piccola rivoluzione che hanno dentro.
E in tutta questa esistenza, ci sono io che abbraccio le fragilità, con lo sguardo verso l’alto, in bilico tra l’amore e l’ingratitudine, il desiderio e la paura, tra ciò che sono e ciò che vorrei essere, tra i progetti e l’utopia.
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