di Michele Ricetti
Sembra passato un secolo dal mio viaggio in Angola, eppure se chiudo gli occhi mi sembra di rivivere, come per magia, tutte le emozioni e le sensazioni che hanno accompagnato una parte di quell’estate del 2012.
Proprio in questi giorni di quell’anno mi ritrovavo a calpestare le terra africana con tutto quello che ha con sé e che porta con sé. Si sente spesso parlare di Africa come “la culla” della nostra civiltà, come il “mal d’Africa” ti tenga ancorato a quella terra tanto misteriosa, eppure in me ha lasciato un ricordo tutt’altro che romanzato, decisamente forte, alle volte difficile da capire e da razionalizzare.
Forse per questo è stata un’esperienza che non dimenticherò mai.
La partenza, preceduta dal Cammino di Assisi e dalle continue provocazione di don Antonio riguardo il coraggio di “incamminarsi dentro”, era stata travagliata per mille motivi, ma fortunatamente resa reale dalla pazienza di chi me lo aveva proposto dipingendola come una vera esperienza di vita. Di certo in questo viaggio non ero solo ma accompagnato da persone, divenute amiche, che con me condividono l’essere ESF…Educatori Senza Frontiere.
Probabilmente il fulcro di tutto sta proprio qui. Essere ESF non è solo un corso di qualche mese, o l’esperienza di qualche settimana via da casa, ma è (come dice sempre un mio amico “la mia opinione vale uno”) qualcosa che poi ti rimane per sempre se hai voglia di esserlo, anche quando poi torni a casa e riprendi quella “quotidianità” fatta del tuo lavoro, di ostacoli e di avventure da affrontare nella vocazione bella del mondo: essere educatori.
ESF è per me uno stile, un modo di guardare le cose anche nel tuo paese, nei ragazzi che incontri ogni giorno e che ti raccontano o non raccontano di sé, nei loro sogni e nelle loro speranze, nei “casini” in cui si sono trovati.
L’essere “senza frontiere” non è solo avere il coraggio di lasciare per un po’ (o per la vita) il guscio del proprio quotidiano ma è riuscire a creare ponti.
È proprio come si legge sul sito della Fondazione Exodus parlando dell’avventura di ESF che: invita ad allargare gli orizzonti, a camminare scalzi, a costruire ponti.
A distanza di tanti anni l’esperienza in Angola è proprio stata questa.
Le persone e i ragazzi incontrati, le sorelle della Congregazione di don Calabria che ci hanno aperto le porte della loro quotidianità, gli amici ESF che contemporaneamente erano in varie parti del mondo non erano altro che tanti ponti aperti su uno sguardo comune: quello dell’ “incamminarsi dentro” del mettersi in gioco, dell’allargare gli orizzonti.
Credo che con il tempo proprio questo sia stato il significato più profondo del mio viaggio in Angola, oltre alle preziose amicizie che si sono costruite, è stato il cercare di comprendere il senso vero del nostro essere educatori nel “qui e ora”.
Nel mio viaggio di ricordi ad occhi chiusi, vedo certamente la curiosità dei ragazzi che abbiamo incontrato, la loro sorpresa nel proporre laboratori “strani”, tra mani legate (per simulare la sensazione di omologazione) o il disegno di cosa fossero per me le sostanze. Rivedo le strutture che ci hanno accolto, l’odore della terra secca ed arida, le piante che hanno perso il colore verde per la sabbia che spinta dal vento si deposita sulle loro foglie in attesa dell’acqua dal cielo che ridona loro il colore originario, ma che porta con sé anche disagi e distruzione.
Eppure ciò che voglio custodire maggiormente e gelosamente è l’intimità delle suore nella piccola cappella come a dettare il tempo che passa, i momenti di quotidianità nel preparare insieme la pizza oppure brindare per un compleanno con uno spumante che aveva perso il colore. Le ore passate a pensare come organizzare il lavoro e renderlo il più possibile immediato e realistico. Il diario di bordo e le condivisioni prima di iniziare la giornata.
Tutto questo ha reso il nostro viaggio ancora di più senza frontiere perché divenuto quotidiano e “poco importa” se sei nel tuo lavoro a casa oppure a km di distanza per un’esperienza di qualche settimana.
Continuo a seguire il lavoro che negli anni è stato ampliato, affinato e reso reale a Luanda come a Huambo e mi rendo conto che tutto è partito dalla voglia di creare ponti, dal desiderio di mettersi insieme per un confronto, dove la distanza è solo una questione di misura e non di educazione.
Ricordo la prima volta che abbiamo incontrato il responsabile di Huambo a quello che abbiamo condiviso e cercato di rendere reale nel tempo, un pomeriggio vissuto nell’ottica che si poteva fare qualcosa insieme, senza la pretesa di insegnare nulla, ma di creare un ponte tra noi e loro, uniti dal desiderio che l’educazione è ciò che ci teneva uniti.
A distanza di anni ora tutto prende forma e altri ESF continuano a tenere vivo questo legame e a rafforzare questo ponte.
Sono convinto che questo è ciò che siamo, educatori con il compito di allargare gli orizzonti, a camminare scalzi, a costruire ponti, sempre, nello straordinario come nel quotidiano.
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