di Elisa Guidotti
Scrivo da qui, dal giardino del Centro Fortaleza. Un sole pallido esce timidamente nel cielo e prova a riscaldare i nostri corpi. Ha fatto freddo i giorni scorsi e il freddo ci ha colto impreparate. Sul tetto corre il filo spinato, ciascuna punta segna il confine tra la libertà e il tempo che scorre qui, lento.
Fortaleza, un carcere minorile dove la vita di trentaquattro ragazzi scorre tra lezioni, attività varie e giocando a calcio.
Mentre scrivo ripenso al tempo. Al tempo che è stato e al tempo che verrà. Mi torna in mente quella poesia, scritta da un poeta sconosciuto due anni fa proprio in questa terra di Bolivia, quando per la prima volta ci ho messo piede.
“El tiempo es una absurda maravilla / Te deja solo / Te hace compañia” (“il tempo è una assurda meraviglia / Ti lascia solo / Ti fa compagnia”).
Che cos’è il tempo? Che significato ha il tempo in questo mio viaggio?
Forse il tempo è un mosaico di attimi. Attimi che devono essere guardati da lontano per essere compresi, ma che si riempiono di significato quando vengono vissuti da vicino. Il tempo è sedersi vicino a un ragazzo adolescente che non riesce a parlare, perché parlare significa ricordare. È permettersi di fare domande, anche se forse non avranno risposta. Cosa significa avere l’amore di una madre?
Il tempo è regalare parole che per me sono importanti, ma che possono aiutare anche te quando ne avrai bisogno. Parole che si trasformano in poesia, in musica. Il tempo è sentirsi soli, facendosi compagnia ogni momento.
Scrivo da qui, dalla cucina della nostra casa dell’Hogar de la Esperanza. Qui la parola “esperanza” assume un significato particolare e delicato.
La poesia del poeta sconosciuto continua dicendo che il tempo è “Historia compartida / Raíces de palabras” (“Storia condivisa / Radici di parole”). Il tempo diventa storia, la mia storia. Che è simile a quella della mia compagna di stanza, che conosco da quando abito questa casa. Storia fatta di radici che vanno nel profondo della terra. Arrivano dalla campagna, si fermano nella città. E chissà dove porteranno. Radici di una storia che voglio cambiare, perché quella che sto vivendo a tratti mi fa paura.
Il tempo qui è un ballo mano nella mano. È scrivere il mio nome, che è la cosa più preziosa che ho, come un’opera d’arte. Io sono un’opera d’arte. È essere un ragazzo adulto che prende per mano un bambino, stando al suo fianco perché quello è il suo posto.
Scrivo dall’Hogar San Lorenzo, dove il tempo scorre negli occhi dei suoi piccoli abitanti.
Tempo scandito da musica e colori che non ho mai visto. La casa si abita di piccoli occhi curiosi e mani piccole, che si affidano e si fidano. Sanno che tu non gli farai del male.
Qui il tempo è anche di donne grandi e donne che stanno crescendo, che hanno saputo cogliere un’opportunità. Che hanno avuto il coraggio di prendere un autobus, attraversare la città e scoprire ciò che ancora non conoscevano.
Ci sediamo attorno ad un tavolo della grande sala mensa e guardandoci negli occhi ci diciamo che questo tempo è per noi. Per ripensare al cammino che ci ha portato qui e camminare insieme.
Scrivo da qui, da Santa Cruz de la Sierra. Ora è giunto il tempo del ritorno. Un ritorno pieno di parole, parole regalate, parole da custodire.
Parole silenziose che gridano, fanno un rumore assordante. Il mio tempo, che mi lascia senza parole, emozionandomi.
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