Il nostro cammino a Montefiascone/Civita/Lago di Bolsena, è stato intenso, commovente, gioioso e un punto di partenza per i nostri viaggi, come ogni anno. Qui in 4 puntate, i nostri ESF racconteranno quei giorni con le loro parole.
Secondo giorno di cammino.
Di Elisa Guidotti
Voglio raccontare di questa giornata dalla fine, da quando uno spettacolo di arti è stato messo in scena. Siamo ospiti alla Casa del Vento di Bagnoregio e siamo al secondo giorno del Cammino.
Ieri sera c’è stato il rito dell’accoglienza, mentre stasera sono testimone di un evento che ha preso forma da noi, da quello che siamo e quello che sappiamo fare.
Nella grande sala che ci accoglie si alternano parole, musica, gesti, sguardi. E poi arrivano corpi che si muovono insieme sul ritmo di una danza che segue le parole di una canzone che dice “Custodiscimi”. Nasi rossi, che evocano sogni lontani e desideri vicini, e scatole colorate trasformate in scrigni che custodiscono parole preziose, che sono i nostri tesori.
Le parole, ecco.
Le parole sono il filo rosso che ci guida in questa rappresentazione. L’importanza e il valore di ciò che abbiamo tra le cose più preziose. Come faremmo se le parole avessero un prezzo e noi non avessimo abbastanza soldi per comprarle tutte?
Phileás (il protagonista de La Grande Fabbrica delle Parole, il libro che ci ha guidato per tutta la giornata) lo sa che le parole non devono essere sprecate. Lui non è ricco e non può permettersi troppe parole. Lui conserva le parole speciali, quelle costose, per le persone speciali.
Quell’ancora che può dire alla fine del racconto racchiude in tutta la sua dolcezza, la potenza e la necessità di non sprecare i nostri tesori, ma di usarli e conservarli per i momenti speciali. Momenti che sono nostri, ma che diventano Vita quando possiamo raccontarli a qualcuno.
Ed è per questo che voglio raccontare anche di come siamo arrivati, anzi tornati, in questa Casa del Vento stasera.
Con i nostri zaini, le nostre magliette blu e la nostra curiosità ci siamo incamminati questa mattina verso Civita di Bagnoregio, diventata nota come “la città che muore”. Siamo partiti in silenzio, attraversando quel lungo ponte a strapiombo sul vuoto, che se soffri di vertigini è meglio se lo sguardo lo tieni fisso in alto, davanti a te.
Lo abbiamo attraversato in silenzio quel ponte, ammirando la fragilità di quella città arroccata sulla collina. Che cosa mi dà la forza per mettere un piede davanti l’altro ogni giorno?
Qual è la parola che voglio custodire nel mio scrigno delle parole speciali?
Appena varcata la porta d’ingresso di Civita, si legge su un muretto che si affaccia su un angolo colorato da fiori rosa:
“Giunto così in alto, mentre vaghi per le vie di questo antico borgo, sii rispettoso.
Della sua storia, ora fatta di silenzio di voci portate dal vento, di fiori che sono vita, abbi cura”.
Abbiamo abitato questa città per un giorno, riempiendola con parole che sono diventate poesia, musica e opere d’arte.
Abbiamo fatto silenzio, come ci ha chiesto Civita, ascoltando la brezza del vento. Abbiamo origliato parole pronunciate in altre lingue e osservato sguardi curiosi di passanti e turisti distratti.
Le parole, ancora.
Le parole, ancora una volta ci hanno aiutato a dare un senso a quello che stavamo vivendo. Sono venute in nostro aiuto quando pensavamo di non averne più per raccontare la dolce fragilità di questo luogo, di noi.
Parole che hanno il potere di trasformarsi in gesti, sguardi e note musicali. Parole che si colorano o che si fanno pitturare di nero su sottili fogli di carta, che si lasciano trasportare dal leggero soffio di vento che li accarezza.
Oggi quelle parole si sono prese cura di noi.
Parole che mi hanno permesso di essere qui, ora, a raccontare ancora una volta di quanto sia necessario per me essere senza frontiere. Per raccontare di come si possono varcare confini, tendendo la mano verso quello che ancora non conosciamo.
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