Scritto da Arianna Grisoni
È lì. Seduto sulla recinzione che circonda il piccolo orto dei ragazzi di Ambalakilonga. Molleggia sull’esile legno osservando i bambini della Maternelle giocare al di là della rete del campo da basket. Per ora sono i suoi compagni di scuola.
Ha appena terminato la lezione di questa mattina. Ieri ha imparato le lettere “M” e “N”.
Chissà, invece, cos’avrà fatto oggi. È arrivato da poco, ha 13 anni, ma ancora non è pronto per andare a scuola con i suoi coetanei così recupera i programmi con i più piccoli.
Ora si alza, sistema la visiera del suo cappellino bianco che non abbandona mai, mette le mani nelle tasche della sua felpa che con una folata di vento caldo si gonfia come un pipistrello che apre le ali e corre a vedere come proseguono i lavori per la costruzione della cisterna d’acqua.
Lui è Tsima, l’ultimo arrivato. È sempre silenzioso, ma i suoi grandi occhi osservano attentamente ciò che accade intorno a lui.
E’ difficile parlarci. Non conosce l’italiano e men che meno comprende le poche parole malgasce che conosco.
Ma qui più che mai ho compreso quanto le parole siano superflue. A lui basta sedersi accanto, stare in silenzio e regalarti un sorriso. Così io faccio altrettanto, con la speranza che la mia presenza lo rassicuri. Io ci sono, sono qui, non è solo.
Tsima è arrivato ad Ambalakilonga grazie alla richiesta rivolta agli educatori da suo fratello Jean Chry, abitante di questa Casa da ormai quattro anni.
Desiderava fortemente che anche lui avesse l’opportunità di usufruire della possibilità che qui gli è stata donata: andare a scuola.
Jean Chry si prende cura di Tsima. Mi rivedo spesso in lui.
Rivedo la premura di un fratello maggiore nel voler regalare uno spicchio di felicità al più piccolo.
Rivedo il senso di protezione offertogli e allo stesso tempo la libertà di lasciarlo sbagliare ed essere sempre lì pronto a tendergli una mano qualora ne avesse bisogno.
Rivedo il bene fraterno.
Rivedo una storia che solo due fratelli possono conoscere.
Ora Tsima è nel cortile a giocare a calcio e ogni tanto butta l’occhio al cancello.
Ecco che finalmente si apre e rientra Jean Chry.
Mi fermo e li osservo.
Osservo l’incontro di due mani che si stringono e si salutano.
Osservo l’incontro di due piedi che tornano a calciare lo stesso pallone dopo tanto tempo.
Osservo l’incontro di due sguardi, l’uno sicuro e accogliente, l’altro spaesato e intimorito.
Osservo l’incontro di due vite separate troppo presto o forse nel momento giusto.
Mi fermo e con il cuore pieno di gioia osservo l’incontro di Jean Chry e Tsima.
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