Scritto da Francesca Scanavini

Siamo di nuovo qui, dove tutto era iniziato. Sembra un po’ come ripercorrere tutto all’indietro, rinfrescare la memoria delle emozioni che erano state sommerse, sostituite, da alcune nuove e altre diverse. Un secondo arrivo all’aeroporto di Viru Viru e mi ritorna in mente la strada polverosa percorsa per la prima volta. La fretta di conoscere posti, luoghi, persone. Poi la prima settimana all’Hogar de la Esperanza. Come dimenticare quei quaranta corpicini, quegli occhi che cercavano i tuoi, quelle braccia che ti avvolgevano gratuitamente. Quel loro bisogno d’amore chiesto, urlato, voluto. Quei piccoli passi a sapor di borotalco e quei dentini un po’ malmessi, ma  capaci di grandi sorrisi. Tutto è iniziato da loro, dalle loro piccole vite, diverse e un po’ dimenticate, che comunque continuano ad andare, correre, saltare. Da qui in poi, mille altre storie hanno incrociato le nostre. Un’educatrice che si siede su una sedia e ci racconta di sé, come se fosse l’ ultima possibilità di farlo. Un bambino alto poco più di un metro, che ci racconta del suo sogno di essere un pistolero e mentre spara come un adulto vedo in lui un’infanzia sbandata, strappata, lontana da braccia materne. Una bambina che rincontra la famiglia il giorno del suo compleanno e  corre loro in braccio piangendo, consapevole di una realtà dura, la sua.

“Quel posto è pericoloso per una donna!”; così si dice di Fortaleza, il carcere minorile di Santa Cruz. Giudicato pericoloso da chi non ci è mai entrato, da chi non ha mai incontrato gli occhi di quei ragazzi. Ragazzi che hanno dei sogni e delle paure, che sono pronti a migliorarsi, a cambiare, a costruire per loro stessi un futuro migliore.

Abbiamo conosciuto storie di professori che mi hanno fatto capire che non si è mai insegnanti davvero, che siamo sempre alunni in fondo, e che se mai pensassimo che abbiamo finito di imparare, allora sì saremmo davvero perduti . Ho incontrato sguardi di amori giovani, che hanno il coraggio di rivelarsi, di far sentire vivo chi gli sta intorno, di far risuonare la potenza dell’amore. Poi vite difficili, difficili anche da raccontare , perché una volta dette ad alta voce diventano più reali.

Vite come poesie.

Uomini. Uomini che abbandonano, uomini che hanno il coraggio di essere umani, uomini che amano.

Donne. Donne che si nascondono, donne che sentono, donne che si liberano.

Un grande cerchio di donne, ognuna con  la propria vita da raccontare,  italiane e boliviane, tristi e felici, in viaggio o ferme, ma tutte per mano. E un’energia che ci ha attraversate, di colpo, ad occhi chiusi, una forza che mi è servita ancora una volta a ricordarmi che non sono sola. Mai. Tutti questi attimi, tutte queste persone, tutte queste storie ora sono, e saranno dentro di me, per sempre. Un cerchio di vite che mi abbracciata, mi ha fatto crescere ma soprattutto aprire gli occhi ed il cuore.

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