Caro educatore senza frontiere,
hai visto quanta strada hai fatto fino ad oggi? Ricordi quando ti innamorasti di questo lavoro? Avevi appena 15 anni e anche se con tante incertezze e insicurezze hai continuato per questa strada sapendo bene che grazie al tuo diventare/ essere educatore saresti stato una piccola matita che avrebbe tracciato tanti capolavori sia nella tua vita che in quella altrui: capolavori che avrebbero avuto la forma di sorrisi, a volte senza denti; la forma di un abbraccio; la forma della pizza bruciata o di una torta di compleanno, la prima in una vita intera; la forma delle mani sporche di colore o piene di fiori raccolte nei campi. Pensavi che avresti dato tanto e invece hai ricevuto di più: e da semplice educatore sei diventato senza frontiere. Guardare, osservare, toccare la sofferenza ti ha permesso di aprire la mente, di andare oltre la semplice apparenza perché le frontiere sono prima di tutto mentali, i limiti che ognuno di noi si pone, primo fra tutti il limite, la frontiera della conoscenza. Non conoscere, o meglio non voler conoscere, cose nuove, persone nuove, esperienze nuove spesso ci fa chiudere su noi stessi: esseri pensanti di possedere tutto il “sapere giusto” nelle proprie mani. Invece tu hai capito che non è così, che non è affatto così: hai capito che non esiste mai una sola verità, ma diversi punti di vista e percezioni delle cose; hai capito che ognuno ha dei talenti e che non necessariamente devono essere uguali ai tuoi; hai capito che, a volte, proprio per permettere a questi di venire fuori non bisogna imporre strategie ma casomai dare i mezzi ed aiutare la persona ad usarli nel modo più giusto per lei e che a volte questa stessa potrebbe stupirti; hai capito che ci sono miliardi di modi per manifestare i propri sentimenti e non uno corretto e che a volte le regole vanno un po’ infrante per essere accettate e comprese; hai capito che nel pensiero, oltre che nella vita, bisogna essere flessibili perché, ahimè, esistono gli imprevisti, gli errori, gli elementi disturbanti e/o discordanti; hai capito che, ma forse lo sapevi già, che non è il colore della pelle, il numero della dita di una mano o il modo di vestirsi che rende una persona migliore dell’altra; ma più di tutto hai capito che devi prenderti il tempo: tempo per te stesso, tempo per riflettere, tempo per sorridere e tempo per strappare un sorriso, tempo per osservare, tempo per giocare, tempo per passeggiare e tempo per correre, tempo per cucinare e tempo per odorare, tempo per parlare e tempo (tanto tempo) per ascoltare, tempo per aiutare e tempo per essere aiutato, tempo per crescere e tempo per restare bambino… perché la vita (così come in tanti dicono) è fatta di attimi, alcuni belli, emozionanti, gioiosi, altri brutti, forti, tristi, dolorosi, ma tutti, proprio tutti, oltre al fatto che non torneranno più, ti hanno permesso e ti permetteranno di essere ciò che sei e di diventare quello che sarai, continuando a camminare nel tuo peregrinare. Ora ti do un consiglio, permettimelo: continua a camminare, qualsiasi cosa accada, ma cammina. Prenditi le giuste pause per riposare, ma non fermarti perché il più bel pellegrinaggio che tu possa fare è quello che segni con i tuoi piedi, con il tuo sudore, con i tuoi salti di gioia e camminando incontrerai tantissime persone alle quali tu lascerai un pezzo di te, ma soprattutto loro ti regaleranno un pezzetto di sé stessi, arricchendoti. Buon viaggio.
Con affetto, Beatrice
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