Claudia, una volontaria di Educatori senza Frontiere, di recente, è stata all’Isola d’Elba, all’interno di una casa della Fondazione Exodus.
Su quest’isola vive un gruppo di ragazzi e ragazze, insieme a loro sono nate delle piccole grandi storie. In questi giorni le pubblicheremo per raccontare di loro, per ricordarci delle cose piccole, che ingrandiscono il mondo. Oggi, l’ultima puntata.
Come tutte le mattine mi sono svegliato e mi sono recato alla redazione del Corriere Della Sera intrufolandomi immediatamente nell’ufficio, considerato il notevole ritardo. Non ho tempo di sedermi, che il Direttore mi porto la notizia lampo: Si tratta di una trasferta sull’isola d’Elba per andar a fare un reportage fotografico ad una piccola comunità di recupero per ragazzi tossicodipendenti. La notizia mi strappò un’esclamazione involontaria, il pensiero mi scivolò subito ai quattrini ed un aumento di stipendio, non sono ancora un giornalista d’alto livello ma punto a diventarlo. Il Direttore senza troppe parole mi diede i biglietti e mi disse che l’aereo partiva per l’una. Era già tardi, avevo giusto il tempo di tornar a casa e farmi la valigia, come al solito la macchina era a secco, presi la bicicletta della vicina di casa, con la quale avevo un forte legame. La bici non era una solita bicicletta: Ma ben si una super Graziella color rosa da donna, con le frange anni 70’ sulle manopole. Diciamolo mi sentivo molto in imbarazzo… per non parlare del borsone che non sapevo dove mettere, le mie spalle da puffo riuscirono a portarlo a destinazione. Ero di nuovo in ritardo, l’aereo stava per decollare ed io ero ancora alla biglietteria nel momento in cui annunciavano il mio aereo, tesi i miei biglietti e mi fecero passare immediatamente al ceck-in. Tutto ok: Sono sull’aereo, in solo quaranta minuti ero già atterrato sulla pista di Marina di campo dei giovani ragazzi erano li con un furgone bianco a prendermi con un cartello molto grezzo con su la scritta Exodus. Il primo impatto fu, di persone che lavorano, visti gli indumenti. Infatti di fretta e furia mi portarono alla casa loro, tempo di posare i bagagli e mi accolsero subito in una casetta prefabbricata. L’aspetto e l’accoglienza era strepitosa nonostante il viaggio un po’ turbolento riuscirono subito a mettermi a mio agio. Sul tardo pomeriggio, in collaborazione con gli operatori, mi fermai con la comunità per poter spiegare il perché del mio soggiorno. Ci sedemmo attorno ad un tavolo sotto un capannone di nailon con una antica stufa a legna, che teneva un tepore mica indifferente, il tavolo era stato costruito da loro ed era molto resistente e grande tanto che riusciva ad ospitare tutti gli abitanti della comunità più eventuali ospiti. L’educatrice mi introdusse dandomi la parola e mi presentai; “Ciao a tutti, sono Massimiliano, come molti sanno già, sono arrivato oggi con l’aereo, per poter fare la vostra conoscenza. Sono un fotoreporter del Corriere della Sera, ringrazio tutti per la vostra accoglienza e non c’è bisogno di dire che questo posto tende ad avere un non so che di magico”.
I ragazzi a tono si presentarono, mi accorsi che provenivano da quasi tutta Italia. Qualche ragazzo mi propose di andar a visitare tutta la loro casa a partire dal campeggio, passando per l’anfiteatro ancora in costruzione subito dopo ci accolse un laghetto artificiale, affianco ad esso vi era una zona relax con accanto un’officina, non tanto grande ma da quello che dicevano possedeva tutto lo stretto necessario per lavorare. Poi si passò all’orto ed in lontananza vidi un piccolo trattore. Senza perder tempo pensai ai quattrini e mi misi a scattar qualche foto qua e la.
Arrivammo a sera e la cena era quasi pronta, nel frattempo chiamai il direttore e gli dissi che ero arrivato a destinazione e che il posto era fantastico, chiedendogli quando fosse stato il mio ritorno, lui mi rispose con un proverbio: Dai tempo al tempo. La chiamata si interruppe. E stranito dalla risposta del direttore; salii su per la cena. Il clima era strano, almeno per me, non mi aspettavo che i ragazzi mostrassero una cosi forte collaborazione tra di loro, chiacchierando con loro capii che il loro legame era tenuto da alcuni concetti chiave, la trasparenza, la fraternità, ma ciò non significava che non avessero dei litigi fra di loro.
Ora tutti a nanna.
Il mattino successivo l’appuntamento era alle sette e mezza in cucina per la colazione e subito dopo risistemazione personale ed inizio lavori. Io mi inserii nella restaurazione di un curioso gozzo, il Tavolara, un peschereccio da 18 cavalli, era quasi finito mancavano i ritocchi ma l’amore verso quella futile barca, lo si poteva apprezzare a colpo d’occhio, splendeva e da li a poco penso che l’avrebbero varata in acqua.
Prima che quel gozzo tornò a galleggiare passarono molti giorni, ed io girovagavo tra l’orto l’officina ed attività varie, non potevo fare a meno che notare che tutti mettevano qualcosa di loro in ciò che facevano. Mi sentii in disagio ero l’unico a pensar a se stesso ed ai quattrini o alla promozione che mi sarebbe arrivata, tanté che continuavo a scattare foto a zonzo.
Io mi sentivo un po’ inutile ed egoista ero li per il mio fine, senza dare niente al prossimo mentre tutti collaboravano fra loro. Forse è importante un cambiamento, mi dissi fra me e me, a questo punto riguardai tutte le foto sul computer e notai che erano prive di significato, banali, stupide.
Le spedii per email al direttore del giornale per aver un confronto con sottoscritto la richiesta di un parere, lui rispose sul telefonino con un sms con su scritto ancora, di dare tempo al tempo.
Io non capivo ancora cosa volesse intendere, ma qualcosa in quel posto tenesse da parte per me la possibilità di aprire gli orizzonti, non solo a scopo lavorativo ma miei personali, il mio stile di vita.
Da li cominciai a cimentarmi nei lavori assieme agli altri immischiandomi nell’attività, come se fossi una calamita sperduta nel niente, mille emozioni mi si caricarono addosso, come mille pezzi di ferro, che mi davano forza, io stimo loro e loro mi aiutano, io aiuto loro e loro vengono stimolati, il concetto è reciproco.
Mi piace non voglio più andarmene, son finalmente carico di energie, riguardo ancora le foto e riesco finalmente a dargli un significato, vero e valido. Una cosa che non ho mai avuto prima, è un mese che son qui e sento che la mia vita sta cambiando.
Non riuscii a trattenermi: “Basta!”. Uscii dalla casetta di corsa e mi recai su in casa degli educatori che essendo molto attenti notarono il mio cambiamento, ascoltandomi, io chiesi con forza di poter fare delle vere riprese, riprese che avessero carattere, sapevo della loro barca e delle sue potenzialità, e chiesi di poter salire a bordo in un giorno di tempesta.
Mi portarono a largo dove gli allacci con la terra ferma, non li vedi neanche in cartolina. Ero preso dall’esperienza tanté che abbandonai la ripresa e mi godetti quel momento.
L’andatura era di bolina stretta, 40 nodi di vento e randa dimezzata, andavamo come una scheggia, la barca sembrava non accusare dei due metri d’onda, è perfetta.
Tornammo a terra, fallii con le riprese e non ebbi tempo di farne altre. Il direttore mi rivoleva in redazione.
Presi l’aereo tornai su, salutando tutti, sapevo che in loro era rimasto un pezzo di me, mentre in me era rimasto un pezzo di loro.
Come incontrai il direttore, mi vide in forma, carico e col viso rilassato non in tiro come al solito, mi chiese il materiale ed io gli diedi buca. Mi aspettavo già un urlaccio di licenziamento, anche se adesso non mi avrebbe toccato più di tanto, ora avevo qualcosa di più forte, il mio essere libero. Il direttore si mise ad ascoltare tutte le mie motivazioni ed avventure, raccontate con una dolce semplicità e lui apprezzò ciò dandomi la promozione e dicendomi: “adesso sei un essere umano”.
Facendomi l’occhiolino mi diede dei nuovi biglietti c’era scritto Honduras…
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