Scritto da Lara Zizolfi

Entriamo a Vida Nova per la prima volta e ci soffermiamo nel refettorio, è uno spazio grande, nuovo, pulito.. ci sono tanti tavoli, Leonardo ci spiega che i ragazzi si siedono al tavolo in ordine di arrivo in comunità, sono circa 4 o 5 per tavolo e c’è una regola che ricorda loro di aspettare che tutto il tavolo finisca di mangiare prima di potersi alzare.

È il primo giorno di attività in comunità, cerchiamo di capire i loro ritmi, di entrare nella loro routine in punta di piedi, come spesso ci è stato ricordato durante la formazione.. ci sediamo al nostro tavolo per il primo pranzo insieme e c’è un silenzio quasi inquietante interrotto solo dal nostro brusio, che appena si fa più forte abbassiamo per paura di infrangere qualche regola non scritta.

I giorni passano, iniziamo a fare nostri i loro ritmi, le loro regole, le loro routine; ma il momento dei pasti per noi è sempre il più difficile, noi cinque ragazze italiane abituate a fare chiasso, ridere, scherzare, usare un tono di voce alto, abituate a condividere anche il momento del pasto per sentirsi un po’ più a casa, noi che ci alziamo sempre per ultime e ci godiamo ogni attimo di questo essere famiglia, noi che aspettiamo che tutte siano sedute prima di iniziare a mangiare, noi che veniamo guardate con occhi sgranati, increduli e dubbiosi, che sembrano chiederci cosa ci troviamo di tanto bello nello stare sedute a tavola?!

E così iniziamo a spiegare che per noi la tavola è un momento di relax, di confronto e di conforto, è un momento di condivisione, di risate, di amore, per noi la tavola è casa. E iniziamo a mostrar loro che a tavola ci si può divertire, ridere e scherzare, ad ogni pasto è diventato di rito urlare “obrigada cozinha”, seguito poi da un applauso! E ogni giorno che passa, il nostro stare a tavola diventa un po’ anche il loro.

Siamo a metà dell’esperienza e in occasione di una festa di compleanno decidiamo di unire tutti i tavoli per formare un grande ferro di cavallo, il coordinatore decide che è bello mangiare guardandosi tutti negli occhi, per poter ridere, parlare e confrontarsi; così da quel giorno i tavoli sono rimasti uniti. I ragazzi non sono stati molto contenti, unire tutti i tavoli voleva dire dover aspettare che tutti finissero di mangiare prima di potersi alzare; in più le panchine con lo schienale non aiutavano nei movimenti e ognuno di loro non sapeva più dove mettersi! C’era sempre quello che finiva di mangiare per primo che controllava a che punto fossero tutti e appena ci si metteva in bocca l’ultimo boccone scattava subito la richiesta di potersi alzare!

Ma ora sono qui, seduta a questo grande tavolo per l’ultima volta e guardo questi venti ragazzi che si confrontano e scherzano, chiudo gli occhi e sento le loro risate e la loro voce che risuona nella mia testa.. quasi si dimenticano di controllare che tutti abbiano finito di mangiare e continuano a parlare, a condividere, riapro gli occhi e vedo una piccola grande famiglia di cui mi sento un po’ parte e non posso far a meno di emozionarmi, e non posso che dire “OBRIGADA FAMILIA”!

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