Scritto da Francesca Maroni
In Brasile, a Rio Grande, c’è una via che si chiama Via della Speranza. E’ una strada che devia da quella principale, che ti porta a svoltare, a lasciarti alle spalle la retta via, la quotidianità, le comodità, le belle case. E’ una strada sterrata, diversa da quelle normali, piena di buche, enormi buche che ostacolano il percorso, che ti costringono a rallentare e che possono farti perfino cadere. Solo chi ha il coraggio di mettersi alla prova, di lottare e la forza di rialzarsi può arrivare in fondo a Via della Speranza. In quel fondo che non permette molte alternative perchè Via della Speranza è una via chiusa: o torni indietro ricadendo nelle buche fino a quando non avrai più le energie per continuare o decidi di suonare una “campainha”. Si, perchè in fondo a Via della Speranza c’è un cancello con scritto “Comunitade Terapeutica Vida Nova, nasci para ser livre” e se fai la scelta di oltrepassarlo e di chiudertelo alle spalle, devi iniziare un nuovo cammino, un cammino di “recuperazione” per curarti dalle ferite causate dalle cadute in Via della Speranza, un cammino fatto di dodici passi e di nove mesi. E’ un percorso che richiede così tanto tempo perchè deve aprire una strada nuova che non ha nulla a che fare con quelle asfaltate e quelle sterrate già affrontate; deve aprire una strada impossibile, una strada profonda, personale che ti porta verso la luce interiore, la strada del cuore.
La sorpresa è che ad aspettarti, al di là del cancello, c’è una comunità pronta a darti il “bem vinda” e a prenderti per mano per affrontare insieme i dodici passi verso una nuova rinascita. Si tratta però, di una comunità particolare perchè in essa le gerarchie sono stravolte e i rapporti di potere sono rappresentati da una piramide ribaltata, con il vertice in basso. infatti, “Cordinaçao e directoria” sono in basso, i “Monitores” al centro e i “Residentes” in alto perchè, come dicono loro, “a nossa prioridade è a vida”. E’ una comunità così particolare che viene chiamata famiglia e i suoi componenti si definiscono “hermanos”. In questa famiglia, oltre a seguire la filosofia dei dodici passi (tecnica utilizzata per il recupero dalle dipendenze), si prega e si lavora. Si prega perchè la comunità è una “Obra de Deus”; si canta tanto perchè “cantare è pregare due volte” e si suona tanto perchè la musica è la voce dell’anima, è la cassa di risonanza dei suoni dello spirito. si fanno poi diversi lavori: la cucina, l’orto, l’allevamento di animali, la produzione di candele, la falegnameria perchè il lavoro nobilita l’uomo e dà nuove competenze a chi vuole cambiare. In questa famiglia si fanno anche riunioni, momenti di parola perchè la condivisione è il collante che tiene unite tutte le parti. In questa famiglia le giornate scorrono scandite da tali ritmi e sono interrotte solo da momenti di “lazer” in cui i ragazzi fanno palestra, giocano a ping-pong, biliardo e biliardino. Le giornate scorrono lente perchè il cambiamento interiore è difficile e ricco di asperità che è necessario affrontare per arrivare fino alla luce, per uscire da quel cancello dopo essere rinati per essere liberi.
Un giorno, l’8 agosto 2015, cinque “meninhas” hanno percorso Via della Speranza, hanno suonato il “campainha” e hanno oltrepassato il cancello. Non si conoscevano ma erano legate dallo stesso filo, quello di Educatori Senza Frontiere, e avevano lo stesso bisogno: quello di camminare fuori, in una terra mai calpestata, per camminarsi dentro. Ma per farlo avevano bisogno di relazionarsi, di confrontarsi, di crescere insieme a qualcuno, di formarsi grazie a qualcuno, di condividere lo stesso cammino, di costruire altri legami; avevano bisogno di tessere altri fili invisibili per scoprire la libertà. Il traguardo, piccolo passo dopo piccolo passo. si sta avvicinando, qualche filo si sta già tessendo e, da come dicono qui, è un filo “diference”, “creativo”, “educativo”.
Silvio de Sa