Scritto da Silvia Grugnaletti
Sono seduta fuori, sul gradino della nostra Casa des Hospedes, a Huambo.
Il piccolo Fabio mi passa a fianco e, appena mi vede, corre ad abbracciarmi. Si siede vicino a me e guarda cosa sto facendo.
Incontrando i suoi occhi, ripenso al tempo trascorso insieme qui, nel Centro de Acolhimento Criança Feliz. Ripenso al trascorrere lento delle giornate, al sole che scandisce il ritmo dei nostri passi. Quel sole rosso che tramonta sempre troppo presto per chi ha ancora voglia di stare fuori a giocare.
Il tempo di sentirsi a casa. La ricchezza del tempo, che ti concede la libertà di vivere pienamente ogni istante, perché è solamente tuo.
Il tempo di fermarsi, per giocare, condividere, parlare.
Il tempo per riflettere sulle contraddizioni angolane, sui contorni incerti e fragili di questa terra dai mille volti profondi.
Il tempo della felicità, quella vera, della semplicità. Perché la felicità qui, sta nell’avere un pezzo di pane, nel poter fare i compiti con una matita temperata o una penna funzionante, nel giocare con un pallone… uno vero!
Il tempo della povertà e della precarietà, quello in cui scopri veramente come sei, dove sperimenti tutti i tuoi punti di forza ed i tuoi limiti.
Il tempo del coraggio e quello della paura. La paura di aver coraggio ed il coraggio di aver paura, perché qui non si fa mai abbastanza. Qui, non si è mai abbastanza, ma ci sarà sempre un sorriso di Léon, uno scherzo di Mingo e Max o un abbraccio di Aarào a rassicurarti, a rimettere insieme tutti i pezzi del tuo puzzle che credevi perduti.
Il tempo poi, di saper restare, di adeguarsi, di oltrepassare i propri confini, di abbattere le proprie barriere per dimostrare che la diversità è meraviglia.
Il tempo della consapevolezza, quella in cui siamo noi che impariamo da loro, comprendendo che i muri dell’ostilità possono essere abbattuti, perché è di fronte a parole come amore, felicità, fratellanza, volontà, che ci si scopre paradossalmente uguali, inspiegabilmente vicini, paurosamente simili.
Il tempo della sorpresa e della bellezza, quello in cui parlare due lingue diverse diventa un gioco, è occasione di risate, prese in giro ed imitazioni.
Il tempo dell’incomprensione, perché l’incontro tra due culture è sempre sbalorditivo, nel bene e nel male.
Il tempo della fede, della preghiera che non ti concedi da anni, dei canti e delle danze dedicati a Dio. Che cosa c’è in fondo alle preghiere di questa gente? Quanto dolore e quanta fede possono coesistere in una sola persona?
Il tempo amato, rassicurato, scaldato dalle carezze e dagli abbracci dei più piccoli della casa. E’ questo il tempo in cui avverti il vuoto generato dalla mancanza di una mamma. L’assenza di tutte le cure e le attenzioni dell’affetto materno, che leggi anche negli occhi dei più grandi. E allora c’è il tempo di ascoltare questi occhi, che raccontano prepotentemente la loro storia.
Il tempo delle strade impossibili, quelle che tenti di aprire quotidianamente e pazientemente; quelle che vedi aprirsi di fronte a te, inaspettatamente.
Il tempo per comprendere che l’essenza del vero viaggio, sta in ciò che non riuscirai mai a dire. Perché questo mio tempo non riuscirò mai a raccontarlo fino in fondo, ma mi appartiene ed io appartengo ad esso.
Infine c’è il tempo della salvezza, per capire che nessuno si salva da solo, ed il tempo dell’impotenza, perché tu non puoi salvare nessuno.
Ma l’Africa, per la seconda volta, ha salvato me.
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