Scritto da Federica Berrobianchi
Sono seduta ad un tavolo, ho davanti a me un foglio bianco ed una penna.
Troppe emozioni dentro di me non riescono a trovare un ordine, non immaginavo che questo viaggio in Bolivia potesse stravolgermi così tanto.
Incontro bambini, adolescenti, giornalisti, maestri, detenuti, donne…ognuno mi lascia qualcosa di sé: un sorriso, una battuta, un biglietto di ringraziamento, un braccialetto, una storia.
Poi un pomeriggio incontro lei.
Una donna fragile e forte al tempo stesso, segnata dalla malattia, con due occhi profondi dentro i quali mi perdo.
L’attività prevede il racconto di storie di vita attraverso un ritratto; lei non si tira indietro e con coraggio inizia a narrare: ha una voce sottile, una bocca piccola dalla quale escono parole grandi che mi fanno vibrare l’anima.
Racconta di Annaluz, una bambina solare allegra e volenterosa, la chiquitita di mamma Manuela e dei suoi sei fratelli. Finito il collegio si iscrive all’università ma è costretta ad interromperla perché a 19 anni rimane incita e viene abbandonata dal marito.
Annaluz porta a termine la gravidanza e dopo 9 mesi nasce un bimbo cagionevole di salute, lei non si arrende gira tutti gli ospedali possibili e consulta i migliori specialisti ma la cura per il suo bimbo non si trova, morirà a un anno.
È un dolore troppo forte da affrontare, il sorriso di Annaluz si trasforma in tristezza e a poco a poco si isola da tutto ciò che la circonda.. l’unica fonte di sostegno è la sua famiglia: mamma Manuela ed i suoi fratelli la spingono a reagire e quando si presenta l’occasione di fare un viaggio ed andare lontano da casa Annaluz non se lo fa ripetere due volte, saluta la sua famiglia e parte.
Da quel viaggio riesce a ricostruire la sua vita, riprende gli studi e diventa medico.
Ho gli occhi gonfi dalle lacrime.. lei invece sorride, mi guarda e mi dice: “ potevo raccontare infinite storie sulla mia vita, ho scelto quella di Annaluz perché ha un lieto fine”.
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