Scritto da Cristina Caruso
Ti voglio raccontare…
Un giorno qualcuno mi suggerì: “Perché non le racconti dei tuoi viaggi?”
Lì per lì l’idea non mi piacque e così la lascia cadere, o meglio così credevo. Il tempo passò ma quella stessa idea rimase lì nella mia mente e oggi mi sono decisa a darle forma, perché sei tu, perché lo meriti.
È difficile sai raccontarmi proprio a te, trovare la chiave giusta. È difficile perché tu, di tutta questa storia, di questa mia scelta, raccogli solo il peggio.
Le mie ansie, il senso di frustrazione, le paure, le malinconie e poi la nostalgia che ci tiene legate con un filo spesso, che quando i mesi lontane diventano così tanti che una mano sola non basta per contarli, la nostalgia che a volte durante le nostre chiacchierate su Skype prende il sopravvento e rompe la voce e noi si fa finta di nulla e ci si saluta velocemente.
Ma queste cose già le sai, invece qui voglio raccontarti di tutto quello che, dopo qualche giorno di riposo a casa, mi fa venire voglia di riprendere la valigia e partire per un nuovo viaggio.
Voglio raccontarti dei monti verdi dell’Honduras, dei lineamenti marcati dei ragazzi che mi hanno accompagnata in quei mesi difficili, delle chiacchierate fatte con loro a volte serie, a volte buffe. Del compito di Tavo che, con le sue manone giganti, doveva ricamare un aquilone e si incavolava quando un punto gli veniva storto e mi faceva morire dal ridere.
Voglio parlarti del Brasile dalle mille contraddizioni. Dell’oasi felice che quel centro, il CPJ, è per quei ragazzi dai mille talenti, che sambano con una grazia infinta e ti prendono in giro senza pietà quando tu, goffamente, provi a imitarli.
In questa pagina voglio parlarti degli occhoni di Patrick e del sorrisone di Placid. Quel piccolo Patrick che ti stupisce con frasi in perfetto italiano ma che non riesce a scrivere una parola in Kinyrwanda. Di Placid dall’infanzia travagliata, minuscolo per i suoi 14 anni, che mi fa sciogliere in un secondo quando, dal nulla, crea la sua musica e poi scoppia in una ristata di felicità.
Voglio parlarti del “mio” Madagascar, di quelle strade che scendono giù dritte e quei paesaggi sconfinati che m fanno sentire libera e che mi fanno stare bene. Quel Madagascar che mi ha insegnato che tutto è possibile ma che bisogna faticare tanto, che mi ha aperto la strada verso un sogno che poi è diventato la mia vita. Voglio parlarti di quella “strega malefica” di Mattiu che mi fa sbellicare con le sue lezioni di stile e della soddisfazione che provo dentro vedendo Njaka prendere decisioni importanti e giuste tutto da solo.
E infine voglio parlarti di quest’ Angola che fa tanto male al cuore, ma che mi ha fatto riscoprire la gioia di stare in mezzo ai ragazzi facendo quattro chiacchiere in un portoghese sgangherato. Voglio raccontarti di Chinghi di quel piccolo “nanetto” di Chinghi, che tiene il broncio per ¾ della giornata e che se gli chiedo “come va?” mi risponde sempre “Soy iritado!” e a me scappa da ridere ma mi trattengo. Di Mandachuva che dispensa botte da orbi gratuitamente, ma che se vede un piccoletto a messa che ha freddo si toglie la giacca e gliela dà senza dire nulla. Di Andrei, un ragazzone di 18 anni, che con non chalance mi si avvicina e mi chiede: “Cristina, ma quella storia di Babbo Natale è vera?” ed io vorrei abbracciarlo e dirgli di si ma sono costretta a svelargli la cruda verità.
Sono queste le cose che vorrei dirti tutte le volte che torno a casa da te mamma, ma tutte le volte puntualmente non riesco a farlo perché troppo stanca e così piena di tutto ciò che solo il silenzio riesce a mettere ordine.
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