Scritto da Ilaria Liva
Ricordando la prima domenica rwandese: 18 Novembre 2012.
Vivere la messa con loro per la prima volta è stato qualcosa di magico, di vero, di sentito.
Siamo entrate in quella grande chiesa infinitamente piena di persone e abbiamo cercato di sistemarci in fondo, eravamo qualche minuto in ritardo e non volevamo disturbare. Subito due si alzano per lasciarci un posto a sedere, che fastidio a volte accettare di essere uniche bianche in una moltitudine nera. Ci sediamo e iniziamo a seguire una lunghissima cerimonia di cui non capiamo nemmeno una parola ma molto altro. I canti, i balli, le lunghe ore vissute intensamente trasmettono una passione vera. Come lodano loro il Signore non l’ho mai visto lodare da nessun altro!
All’eucarestia, nel momento del massimo raccoglimento, vengo scossa da un fragoroso applauso, un applauso per il corpo di Cristo ed uno per il sangue di Cristo. Mi viene da sorridere e applaudo anch’io. Un applauso che non ha paura di far sentire la gratitudine, la devozione, il rispetto davanti a Gesù morto in croce per noi. Un applauso che rende il ricordo dell’ultima cena un ricordo gioioso! Un applauso inaspettato e gradito.
Inoltre per la prima volta da quando sono arrivata la messa è stato il momento in cui siamo stati accanto a dei ruandesi per del TEMPO. E grazie a questo tempo abbiamo potuto godere dell’umanità che hanno, della realtà della persona che c’è dietro quella maschera di riverenza che ci viene presentata per prima.
Una mamma affaticata di tenere la sua bambina in braccio ce l’ha affidata; lei, dolce, piccola, in un secondo si era riaddormentata tra delle braccia bianche, forse mai viste in vita sua prima di allora.
Rileggo queste righe del mio diario e godo della meraviglia con cui li ho osservati la prima domenica, con cui ho condiviso con loro il giorno dedicato al Signore. Ancora oggi dopo tre mesi che vivo tra questa gente quegli applausi mi emozionano e con emozione applaudo anch’io.
Ancora oggi mi stupisco a vedere i ragazzi della casa che pregano profondamente con gli occhi chiusi ogni volta prima di ricevere il cibo, ogni sera prima di andare a dormire. Adolescenti così devoti non li avevo mai visti.
Mi meraviglio di questi atteggiamenti, ed insieme rimango scossa da altri.
Gli educatori riescono a riportare qualsiasi discorso, dai più ufficiali ai più informali ad un livello di devozione al Signore: mi è andato bene un esame perché il Signore ha voluto ciò per me; i miei progetti per il futuro sono in mano Sua e non mi è permesso saperli, sono al suo servizio; dopo una consegna libera per la produzione di un oggetto utile durante la formazione il 50% degl’oggetti servivano per pregare; un pallone vecchio mi fa venire in mente che anche il mio corpo non è immortale e che un giorno, quando lo spirito andrà al Signore, tornerò cenere.
Una fede passionale, gioiosa vissuta in modo totalizzante e intransigente.
Questo binomio mi scuote, ma quanti modi ci saranno per vivere la fede?
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