Scritto da Miriam Mazzi
Mi hanno chiesto di scrivere un articolo sul mio viaggio in Madagascar, e ci ho provato. Ma come riassumere in poche parole, che alla fine non sono altro che inchiostro blu su un foglio bianco, l’esperienza di una vita completamente nuova?
Come descrivere l’emozione di alzare il viso la sera e guardare stelle che non sono le tue, così brillanti e luminose che sembra di poter allungare una mano e toccarle?
Come spiegare quel clima di calore e familiarità che si crea con persone che conosci solo da qualche giorno?
Ripenso ai ragazzi e ai bambini di Fianarantsoa, ai loro volti sorridenti nonostante tutto e alla loro perenne voglia di giocare e scherzare, a come si avvicinino e ridendo ti coinvolgano nella loro vita quotidiana, senza nemmeno sapere chi sei.
E poi mi guardo intorno, a scuola, in classe, sull’autobus, nella mia vita di tutti i giorni insomma, e vedo ragazzi e ragazze come me, dai volti assenti e corrucciati, le cuffie nelle orecchie, l’atteggiamento chiuso e diffidente. Ero così anch’io, lo so, prima che Ambalakilonga con tutte le sue gioie e le sue difficoltà mi aprisse a forza gli occhi e mi obbligasse a vedere le cose da un altro punto di vista.
Ci sono tante cose che potrei dire, di quanto sia stato strano trovarmi all’improvviso in un luogo completamente diverso dal mio mondo, con la nostalgia delle amiche, delle conversazioni telefoniche e dei social network; di quanto sia stato scioccante, e liberatorio, accorgermi di punto in bianco che ciò che desideravo di più non era scoprire come procedeva la mia serie televisiva preferita, ma uscire e andare a parlare, a ridere, a vivere con quei ragazzi da cui all’inizio ero così intimidita.
Potrei raccontare dell’impatto che quel posto lontanissimo da tutto quello che ero solita chiamare casa ha avuto su di me, io che non uscivo dalle mura domestiche nemmeno a calci per la paura del confronto con l’esterno, e di quella bizzarra sensazione alla bocca dello stomaco quando ho capito, il giorno prima della partenza, che da lì non volevo andarmene, che da un momento all’altro, tra turni di corvèe e sigle di apertura coreografate per i bambini dell’orfanotrofio, era diventata anche quella casa mia.
Tuttavia non c’è né il tempo né lo spazio sufficiente a dire tutto ciò che è necessario per far comprendere cosa sia, per una sedicenne immatura, capire tutto in una volta che c’è un intero mondo che aspetta, fuori dalla sua piccola dimensione egoista, che lei come tanti altri apra gli occhi e impari a sorridere, finalmente.
Però non basterebbe un libro intero, per descrivere tutto questo, quindi mi limito a dire grazie, grazie mille, alla prossima!!
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