Scritto da Giovanna Paris
Cade la pioggia sulla terra e sull’erba rigogliosa, qui sotto la capanna fatta di palme secche. Intorno bungalows e bambini mezzi nudi che corrono dietro alle galline perché non hanno bisogno di ripararsi come me. Perché la pioggia viene come tutti i giorni e perché nella loro casa entra l’acqua comunque, anche se una specie di tetto la copre.
In carovana. Mi piace questo senso di appartenenza, questa vita semplice e quasi primitiva, in cui la parte più importante è fatta dalle relazioni e dai piccoli gesti, le loro attenzioni, le nostre. Stare con i ragazzi ma essere comunque qualcosa di altro, mantenere quella distanza che ci faccia ricordare che siamo educatori, che siamo chiamati ad essere testimoni per loro e per quelli che ci aspettano a casa, perché il nostro tempo qui è limitato e tra qualche settimana saremo di nuovo dall’altra parte del mondo.
È la prima volta che scrivo nel mio diario mentre nel primo viaggio scrivevo pagine e pagine, forse per la responsabilità di esserci di più, guardare di più, non solo il mio ma anche il posto degli altri.
Ma come si fa a capire il posto degli altri quando tutto quello che hai intorno ti lascia senza parole?
quando la salita in bicicletta ti lascia senza fiato, quando dopo la notte passata in 12 ore di bus, avresti solo voglia di buttarti sulla spiaggia a dormire.
Chiudere gli occhi, non sentire più niente per un attimo.
E invece tutto questo arriva forte come un pugno. Ti graffia via la crosta e brucia, come una scottatura sulla pelle.
“No se falla” È questo l’educatore? Stare sempre connessi. Non avere bisogno di un tempo per me.
E allora anche da qui, dall’altra parte del mondo mi ritrovo davanti alla stessa responsabilità, la “capacità di rispondere” a chi si aspetta qualcosa da me, a chi mi chiede indicazioni sulla strada, a chi mi guarda, a chi mi ha dato fiducia.
“…Così, il lampadiere vede poco davanti a sé – ma consente ai viaggiatori di camminare
più sicuri. Qualcuno ci prova. Non per eroismo o narcisismo, ma per sentirsi dalla parte buona
della vita. Per quello che si è.”
È quando io smetto di pensare a me, ai miei egoismi, che tutto cambia faccia: io ci sono perché ti fidi di me, perché per camminare sulla strada abbiamo bisogno l’uno dell’altro.
No comments yet.