Oggi per la prima volta da quando sono qui ho avuto quel mal di stomaco che ti prende non per colpa del cibo, ma per quello che vedi.
Siamo stati al barrio Rodeo, un quartiere povero di El Paraiso, dove siamo stati anche domenica scorsa. Ma oggi era diverso.
Oggi, come da quattro giorni a questa parte, pioveva, pioveva forte e non eravamo sotto un tetto sicuro, ma all’aperto, in strada. In una strada di terra, tutta buche e fango che piu’ che pioveva piu’ si allagava. Noi eravamo sotto a quella pioggia battente ad aspettare che ci aprissero il cancello di una scuola dove sotto al tetto del cortile poter fare giochi con i bambini poveri del quartiere.
Quella chiave ci ha messo un’ora ad arrivare e noi li’ sotto alla pioggia, con i nostri k-way colorati, le felpe, le magliette e i jeans.
E poi sono arrivati loro, i bambini. Anche loro sotto alla pioggia, solo che loro erano senza ombrelli o kway, senza jeans, senza felpe e… Senza scarpe. Sono arrivati correndoci incontro e sono rimasti li’ finche’ non ci hanno aperto la scuola, ad aspettare sotto alla pioggia solo per avere mezz’ora di gioco, di divertimento, di allegria, che noi andavamo a portare. Tremavano dal freddo, ma erano felici.
Uno di loro ad un certo punto ci chiama e ci dice di andare a casa sua a ripararci dalla pioggia, nell’attesa della chiave della scuola; noi accettiamo.
La casa e’ una stanza, noi rimaniamo fuori sotto al tetto di lamiera e subito un uomo esce dalla porta e ci offre posto a sedere su alcune sedie di plastica. Ci sediamo e cominciamo a dipingere i volti dei bambini con i colori a dita. E’ subito festa. Farfalle, cani, gatti, leoni e… Dinosauri (!!!) arrivano sotto a quel tetto di lamiera. Mi sento contenta, continuo a colorare e parlare con i bambini, la pioggia non la sento piu’ ora.
Poi mi giro, guardo meglio: sotto al tetto c’e’ un’amaca. E’ diversa dalle altre che ho visto finora, sembra mezza chiusa, ma si vede che dentro c’e’ qualcuno. Mi avvicino e vedo un ragazzo. Avra’ 15 o forse 18 anni… E’ un ragazzo speciale, un ragazzo diverso da quei bambini che continuano a salterellarmi intorno. Le sue mani e i suoi piedi sono piegati, non so per colpa di quale malattia, e il suo volto e’ deforme. L’amaca lo avvolge, lo chiude, lo imprigiona; lui puo’ solo guardare sopra di se’, solo guardare il tetto di lamiera. Non mi nota, non ci nota… O forse si’ e non lo sapremo mai.
E allora il dolore allo stomaco e’ stato come un pugno, e lo e’ anche ora.
E penso ai nostri ragazzi speciali, quelli che cantano “Ragazzo fortunato”, che “quanto costa l’Alfa?!”, che sanno la data di nascita di tutti e amano Renzo Arbore e l’Isola d’Elba. Penso a loro e penso a questo ragazzo… E veramente non serve nessun’altra parola…
Arriva la chiave, andiamo alla scuola per l’ultima mezz’ora di giochi. Li’ possiamo correre, scatenarci. Qualcuno scivola sul pavimento bagnato e si rialza subito, anche se si e’ fatto male.
E’ ora di tornare a casa, salutiamo i bambini dando loro appuntamento alla settimana prossima e ci mettiamo in cammino verso la Panamericana, un’oretta di strada a piedi. Ora non piove piu’, la strada e’ piena di buche e fango, si rischia di scivolare e bisogna guardare bene a dove si mettono i piedi.
Io pero’ continuo a pensare a quel ragazzo sull’amaca. Poi arriviamo a casa… La signora che ci ospita guarda la tv, c’e’ un concorso tipo “Saranno famosi” in cui una bambina di dieci anni sta cantando una canzone d’amore mezza nuda.
Penso alla giornata di oggi, ai bambini scalzi, all’amaca… Mi scende una lacrima.
Daniela Sangiorgi
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