Da una pagina di diario…
Devo scrivere.. non vorrei… e poi ho quasi finito il quaderno.. ma se lo sfoglio ho lasciato delle pagine vuote, bianche, sul quaderno e anche sul diario.. chissà perché mi chiedo che cosa avrei voluto scrivere, o dire, o fare e invece non ne sono stata capace.
Partire, senza il bisogno di… tornare senza la voglia di…
Manca sempre un pezzo, mi sento piena e incompleta, sono tutto quello che questo viaggio è stato, sono io, sono di più, sono quello che ho lasciato.
Nella prima pagina del diario dell’Argentina, nel lontano 26 giugno 2010 rileggo: “tanta gente ci stava aspettando, mi viene da chiedermi cosa potremo dare loro. Abbiamo portato con noi cibi, libri e giochi, ma saremo in grado di dare un po’ di noi? E questo sarà abbastanza?”
e mi ritrovo qui.. a cercare una posizione comoda su un letto in discesa – che le mie compagne mi invidiano, perché il loro è peggio! – nella stanza che G. dice assomigli a quelle di “Belli dentro”. Tre letti in un muro bianco di mattoni, inferriate alle finestre. Un filo coi nostri panni stesi attraversa la stanza e divide il mondo disordinato di G. dai nostri letti e dallo scaffale di ferro e legno che raccoglie tutte le nostre cose utili e improbabili: scotch di carta, spray anti zanzare, i-pod, buste e zainetti, deodorante e portafoglio, acqua, libri e caricabatterie, disinfettante, passaporto. Biscotti, telefono, metro. Latte e pongo, medicine e colori. È come giocare ad associazione di idee, i miei amici sanno che mi piace molto!
Ma questi oggetti banali ed essenziali portano con sé tutta la carica del viaggio, i suoi odori, il fango, la polvere, la fatica, la pazienza…
Fa caldo e sento forti le voci dei miei compagni, tanto da darmi fastidio. Tanto da sentirne già la mancanza. È arrivato uno dei ragazzi e parla con noi. Ci chiede se siamo contenti di partire e quando torneremo. “Y usted doctora? Deve ritornare perché qui siamo tutti messi male! E dica a don Antonio che Franco ci serve, abbiamo bisogno di un buon giocatore di calcio!
Hanno bisogno di tutto, di affetto, di pazienza, di verità. Sono più semplici dei nostri e tanti hanno delle facce buone, ma fuori hanno tutti delle storie di violenza, probabilmente per i cattivi maestri..famiglie distrutte, padri alcolizzati e assenti..
la mancanza di cultura ed educazione crea dei buchi incolmabili..chissà se il lavoro di exodus qui sarà utile a creare delle persone e essere motore di un cambiamento..poi però penso che per tante cose sono meglio di noi..e mi chiedo se è giusto, se sia giusto insegnare le nostre regole qui, se vogliamo che cambino loro o se tutto serve solo a cambiare noi. Noi e il nostro punto di vista, relativo, limitato.
Questo è il mio terzo viaggio ma se ci penso ne ho vissuti almeno altri 4 o 5. un viaggio semplice da vivere, difficile da raccontare, impossibile da spiegare…
L’inverno argentino, le montagne del perù e l’ennesima separazione da mia sorella, l’attesa di arrivare in comunità, i giorni con don Antonio, la preparazione dello spettacolo di teatro, la partenza di Francesca…e… un viaggio nel viaggio…
E ora siamo giunti all’ultima parte, manca meno di una settimana e sento più vicino il ritorno a casa. Non pensavo avrei mai provato questa sensazione..voglia di tornare ma paura che manchi troppo poco..sono stata via due mesi o forse di più e adesso non riesco a riordinare i pensieri per essere pronta è vero ho avuto tanta nostalgia, ma la voglia di tornare si mischia alla paura di ricominciare, di riuscire a portare la forza di questa esperienza, di deludere le aspettative e..la stessa domanda irrisolta dell’inizio: che senso avrà questo viaggio?
L’unica cosa che posso dire di aver capito è che viaggiare è aspettare, aspettare di capire le persone, di leggere i segni, di essere accolti, di vedere, di partire, di tornare..di restare.
Aspettare che qualcosa succeda anche se tu non lo volevi. Anche senza di te.
Giovanna Paris
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